Partiamo con il dato più eclatante, rilevato dalla Johns Hopkins University: al 20 dicembre, secondo i dati della prestigiosa università americana, l’Italia è il Paese al mondo con la più alta mortalità da Coronavirus ogni 100mila abitanti (113,26 decessi davanti ai 104,71 della Spagna, ai 101,03 del Regno Unito e ai 96,64 degli Stati Uniti). Le cifre sono quelle del fallimento e le restrizioni natalizie hanno l’amaro sapore di una sconfitta, per il mondo politico italiano, a prescindere dai colori di partito (o da quelli delle regioni).
Intendiamoci: nessuno pensa che sia semplice gestire una situazione che, di fatto, non trova precedenti simili (le pandemie del passato erano vissute in contesti geopolitici assai diversi) e che in Italia ha portato a un numero esorbitante di Dpcm (23) dallo scorso febbraio, alle Fasi 1, 2 e 3, alle zone gialle, arancioni e rosse, alla girandola dell’apri e chiudi e infine alla stretta natalizia annunciata pochi giorni fa. Quello che gli italiani si aspettano è chiarezza da parte delle istituzioni e coerenza da parte della politica, al di là del colore. Tanto a livello locale quanto a livello nazionale, però, questi due perni della comunicazione politica sono spesso mancati, dando adito a numerose contraddizioni.
Senza andare troppo indietro nel tempo, ai “basta panico” di fine febbraio trasformatisi in “chiudiamo tutto” pochi giorni dopo, le contraddizioni del Governo (e, di conseguenza, di chi per primo lo rappresenta, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte) si rivelano in diversi ambiti. Quello più eclatante è il rapporto con le Regioni. Se infatti è la stessa Costituzione (articolo 117, comma 2) a demandare allo Stato la “profilassi internazionale” (giacché l’emergenza è mondiale) e durante la prima ondata questo aspetto è stato rispettato, dall’estate in poi il Governo ha delegato moltissime responsabilità tanto alle Regioni quanto ai Comuni. Soprattutto quando si è trattato di prendere decisioni impopolari come chiusure di attività, coprifuoco e gestione nelle singole città dell’ordine pubblico nelle piazze solitamente affollate.
Via, quindi, al mare di ordinanze: c’è chi ha sin da subito adottato una linea dura con tutti, andando anche contro il suo stesso partito d’appartenenza (Vincenzo De Luca in Campania), chi ha faticato a tirare le fila dell’emergenza soprattutto nei primi mesi (Attilio Fontana in Lombardia e Alberto Cirio in Piemonte), chi ha proposto un suo modello guadagnando consensi pur con il paradosso di una curva epidemiologica ancora alta (Luca Zaia in Veneto).
Per non parlare, poi, delle difficoltà di Michele Emiliano in Puglia, Eugenio Giani in Toscana (eletto a settembre e subito alle prese con la seconda ondata), Christian Solinas in Sardegna (che, oltre ai contrasti con il Governo per le aperture estive dei locali, ha anche battibeccato con il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, in primavera: una diatriba poco edificante per entrambi).
La questione Sanità in Calabria, Regione che tra l’altro ha sofferto il lutto per la prematura scomparsa di Jole Santelli a ottobre, ha poi rappresentato un’altra difficoltà oggettiva. Il bizzarro viavai tra commissari alla Sanità ha indignato gli italiani ed è stato risolto solo dopo una lunga trattativa che ha portato Guido Longo a ricoprire il ruolo. Ma ha del clamoroso il fatto che la Sanità calabrese sia affidata a un commissario nominato dallo stato da ben undici anni. Rimandiamo per approfondimenti all’intervista di Andrea Pamparana al consigliere regionale calabrese Giuseppe Aieta per la rubrica ‘Emoticon, opinioni a confronto’.
Un paragrafo a parte, poi, lo merita la scuola: si è compreso fin da subito come l’Italia non fosse ancora pronta per gestire una didattica a distanza al 100%, nonostante i proclami della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, e si è riprovato a riaprire a settembre nonostante i dubbi. Il risultato è un triste balletto di aperture e chiusure, classi in quarantena, docenti in classe mentre gli alunni sono a casa, ricorsi ai Tar da parte delle Regioni e dei Comuni contro le disposizioni dello stato, responsabilità demandate direttamente al genitore (sempre più confuso). Eppure il problema è sempre lì: l’obiettivo dichiarato è rientrare in aula il 7 gennaio, in realtà è impossibile prevedere se la curva dei contagi lo permetterà effettivamente.
Dal punto di vista strettamente legato alla politica di partiro, è difficile individuare una realtà che non abbia creato grattacapi durante questi mesi, sia in maggioranza sia all’opposizione. Per un Movimento 5 stelle alle prese con una crisi d’identità e di consenso c’è un Partito Democratico che, oltre a disaccordo sul Mes, ha quasi fatto partire la crisi di governo a fine ottobre, quando il capogruppo al Senato dei Dem Andrea Marcucci ha chiesto esplicitamente a Conte una “valutazione della squadra di Governo”. L’anticamera del rimpasto, secondo gli addetti ai lavori. Se quella crepa è stata risanata dalla mediazione di Nicola Zingaretti, l’ultima, causata negli ultimi giorni da Italia Viva (il partito di Matteo Renzi, mai troppo tenero con Conte), ha tutte le potenzialità per causare un terremoto politico le cui conseguenze sono difficili da pronosticare.
E l’opposizione? Se i chiari di luna della maggioranza avrebbero potuto dare un vantaggio, dal punto di vista dell’opinione pubblica, ai partiti che si oppongono al Governo, la coalizione di centrodestra non l’ha certo sfruttato. Il rappresentante del maggior partito all’opposizione, Matteo Salvini della Lega, si è contraddetto in numerose occasioni dicendo prima no e poi sì a coprifuoco, stato d’emergenza, uso della mascherina e gestione degli assembramenti nelle manifestazioni pubbliche. Giorgia Meloni a marzo invitava i turisti stranieri a venire in Italia salvo poi, poche settimane dopo, contestare il governo sul Bonus vacanze. Minore il ruolo di Silvio Berlusconi, tra l’altro colpito a settembre dal Covid-19: rispetto ai due leader dei partiti sovranisti, l’ex premier ha adottato un approccio più morbido, mandando in avanscoperta il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani e dicendosi più volte disposto a trattare con l’attuale esecutivo.
Il dati di fatto conclusivo, però, è uno solo: i Dpcm, i vari decreti legge, le ordinanze regionali e comunali spesso si sono contraddette a vicenda e quella delle competenze è diventata una matassa difficile da sbrogliare. La politica non ha aiutato a fare chiarezza e il cittadino è sempre più confuso. Quest’ultimo non vuole puntare dita contro nessuno, ma si chiede in maniera lecita perché il 25 ottobre si dicesse “chiudiamo adesso per essere liberi a Natale”, salvo poi dover fare i conti con le dure limitazioni che non sembrano aver fine. E riponga speranza in chi lavora per il vaccino, piuttosto che nelle persone che lavorano per le istituzioni.
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