La chiamano pandemia ma per tante, troppe, persone sta risultando qualcosa di molto più concreto e ancor più drammatico di quanto il termine stesso possa suggerire. Sembra una vita fa, ma in realtà sono passati circa due mesi dall’individuazione dei primi focolai di coronavirus, a febbraio, nel Lodigiano. Poi la situazione è andata fuori controllo: le zone rosse, l’aumento esponenziale dei ricoveri, le unità di terapia intensiva al collasso, il lockdown deciso dal governo per tutto il Paese, la tragedia di chi non ce l’ha fatta e il dramma dei parenti sopravvissuti che non possono essere loro vicini per un ultimo saluto. Tutta l’Italia ha il cuore ancora spezzato, le regioni del Nord, in particolare Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Liguria, presentano ferite che lasceranno nel tempo profonde cicatrici.
La provincia di Bergamo è una delle aree che più ha sentito il peso della tragedia: “Non era giusto che papà morisse così. Muoiono tutti come dei cani, come dei porci. Ancora oggi la gente dice che erano vecchi, erano malati: era mio padre c***o, non era vecchio e non era malato”. Queste le parole di Roberta Zaninoni di Alzano Lombardo, che ha perduto il padre a causa del coronavirus. Il dramma della provincia bergamasca si può sintetizzare con le parole di un’altra donna che ha perso il proprio genitore, Cristina Longhini: “Da quando è andato via da casa non abbiamo avuto più notizie di lui, fino alla telefonata dell’ospedale che ci ha detto che papà era morto. Quando ho visto la sua salma ho faticato a riconoscerlo, avrei preferito non vederlo”.
Gli eroi di questa battaglia sono senza dubbio gli operatori sanitari, trovatisi ad affrontare una situazione senza precedenti. Pochi attimi per riprendere fiato, non importa che si tratti di giorno o notte, feriale o festivo. “Se consideriamo la Liberazione una liberazione dal virus, anche se dovremo ancora continuare a conviverci per un po’, siamo tutti in trincea – ha dichiarato proprio il 25 aprile il dottor Sergio Livigni, responsabile del coordinamento delle terapie intensive della regione Piemonte -. Dal 22 febbraio siamo stati tutti inseriti in questa emergenza non ci sono più weekend, festività, siamo qui tutti i giorni“. Proprio in Piemonte, però, sono state mostrate falle a livello della gestione dell’emergenza, come testimoniato da un paziente torinese, Giorgio Bausardo, fortunatamente guarito dal coronavirus ma inizialmente rimandato a casa per non aver presentato sintomi gravi: “Non ci sono certezze, è pura fortuna se si esce bene o male. Si è percepita l’inadeguatezza del sistema, qualcuno dovrà rendere conto”.
Sin dai primi provvedimenti presi a livello nazionale, non tutto è filato liscio dal punto di vista della rilevazione delle infrazioni. Emblematica, in tal senso, la storia del farmacista Nicola Baboni di Cernusco sul Naviglio, vittima di una sanzione amministrativa di 280 euro perché la sua farmacia non aveva guanti a disposizione dei clienti. “Uno schiaffo morale, i guanti sono introvabili”. Ha creato confusione anche la posizione sulle mascherine. Il ruolo dei dispositivi di protezione individuale nel contenimento del virus è stato controverso sin dall’inizio dell’emergenza, adesso la posizione unanime prevede la necessità di indossarle. Anche le modifiche alle autocertificazioni per uscire di casa hanno creato, nel corso delle settimane, più dubbi che certezze. In più, e non è certo un fattore da sottovalutare, le zone più colpite sono entrate in una fase di grave incertezza economica, che rende l’outlook del Paese, e del Nord Italia in particolare, decisamente negativo.
Da cosa bisogna ripartire, quindi? Sicuramente possono aiutare le piccole grandi storie di speranza, che per fortuna non sono poche e aiutano a pensare in positivo. Dalle strutture socio assistenziali che sono riuscite ad evitare contagi, come la Domus Patrizia di Milano, a Simone Salerno, pasticcere di Gassino Torinese, che a Pasqua ha preparato uova di cioccolato e colombe per nove ospedali della provincia di Torino, fino a Pamela, la donna incinta guarita grazie alle cure con il plasma a Mantova, e a Beatrice, la “Piccola guerriera di Bergamo”, nata l’11 febbraio e contagiata dopo pochi giorni dal coronavirus. La neonata, nonostante non abbia ancora compiuto tre mesi, è già un grande esempio per tutti. Per dirla con le parole di sua madre Marta, “a tutte le persone che si ritroveranno nelle nostre condizioni dico di continuare a sperare anche nei momenti difficili”. Perché contro il nemico invisibile è necessario che tutti, nel loro piccolo, continuino a lottare.
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