Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, varie terapie anti-Covid sono salite agli onori della cronaca. Alcune si sono rivelate piuttosto efficaci, mentre altre sono state abbandonate dopo che vari studi ne hanno messo in dubbio l’utilità. In questo articolo faremo il punto della situazione sulle varie cure disponibili, dalle più note a quelle che sono sparite in fretta dai radar.
La terapia con plasma iperimmune, promossa in Italia dal dottor Giuseppe De Donno, è stata fin da subito una delle più divisive all’interno della comunità scientifica. Mentre alcuni esperti ritenevano prematuro usarla per trattare i pazienti con Covid-19, altri erano più favorevoli a darle una chance. Col passare del tempo, vari studi hanno dimostrato che la terapia è efficacia se somministrata entro 72 ore dalla comparsa dei primi sintomi, ma non ha particolari effetti in chi contrae le forme più gravi dell’infezione. Di fronte a queste caratteristiche, che ne rendono l’utilizzo limitato, vari ospedali hanno lentamente abbandonato la cura, sia in Italia che nel resto del mondo.
La terapia con plasma iperimmune prevede il prelievo del plasma da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione in altri pazienti positivi al coronavirus. Prima della trasfusione, gli esperti sottopongono la componente liquida del sangue a una serie di test di laboratorio, anche per quantizzare i livelli di anticorpi “neutralizzanti”.
Assieme all’eparina, i corticosteroidi sono alcuni dei farmaci più utilizzati nel trattamento delle infezioni da coronavirus Sars-CoV-2. Questi medicinali hanno delle proprietà antiinfiammatorie e i loro benefici per i pazienti con Covid-19 sono stati dimostrati da vari studi internazionali, tra cui il trial Recovery e una metanalisi pubblicata su JAMA. Anche l’Aifa ha più volte confermato l’efficacia di questa terapia, limitandosi a sconsigliare l’uso dei corticosteroidi per inalazione. Su quest’ultimi, infatti, non sono disponibili abbastanza dati per dimostrare che apportino un effettivo beneficio ai pazienti. Inoltre, i corticosteroidi non sono indicati per chi ha un’infezione da Covid-19 lieve, in quanto attutiscono la risposta immunitaria dell’organismo.
Un caso piuttosto particolare è quello del Remdesivir, l’unico antivirale finora approvato per il trattamento dei pazienti malati di Covid-19. Nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) lo abbia dichiarato inefficacie nel trattamento delle infezioni da Covid-19 e ne abbia sconsigliato l’utilizzo, l’Europa ha deciso di continuare a tenerlo in considerazione. In Italia, l’Aifa ne prevede l’uso esclusivamente in casi selezionati, dopo una accurata valutazione del rapporto rischi/benefici.
Nessuno studio ha ancora dimostrato o smentito in modo convincente l’efficacia dell’interferone beta per i pazienti con Covid-19. In uno studio randomizzato controllato, i cui risultati sono stati pubblicati su Lancet Respiratory Medicine, la somministrazione della proteina ha contribuito a migliorare le condizioni dei pazienti. Nel corso dello studio internazionale “Solidarity”, invece, l’uso dell’interferone beta si è rivelato poco efficacie nel trattamento dell’infezione. L’aspetto interessante, è che gli esperti hanno poi valutato i partecipanti alla ricerca con una forma lieve o moderata della malattia in un altro studio, dal quale è emerso che una singola dose di interferone contribuisce ad accelerare la diminuzione della carica virale. Su questa terapia, insomma, sembra ancora esserci poca chiarezza e solo i risultati di altri trial clinici potranno portare a una risposta definitiva.
Lo scorso aprile, l’Aifa ha approvato ufficialmente l’utilizzo degli anticorpi monoclonali prodotti da Regenron e da Eli Lilly. In seguito, il ministero della Salute ha dato il via libera anche alla distribuzione temporanea di Sotrovimab, prodotto da GlaxoSmithKline. L’uso di queste terapie è comunque soggetto ad alcune condizioni. Come stabilito dalla legge 648/1996, l’approvazione di medicinali in corso di sperimentazione clinica o utilizzati in altri Paesi può avvenire solo quando non esista un’alternativa terapeutica valida. Tali farmaci sono attualmente destinati a pazienti in fase precoce con alto rischio di evoluzione.
L’Oms ha fortemente sconsigliato l’utilizzo dell’antimalarico idrossiclorochina per il trattamento dei pazienti con Covid-19. Nel corso di una revisione sistematica, la terapia ha mostrato un effetto minimo o nullo sulla mortalità e sul ricovero in ospedale. Inoltre, ha determinato un incremento degli eventi avversi. L’Oms ha quindi stabilito che il farmaco non è più una priorità di ricerca. “Le risorse dovrebbero essere orientate alla valutazione di altri farmaci più promettenti per prevenire il Covid-19”. Anche l’Aifa ha deciso di sospendere l’utilizzo dell’idrossiclorochina al di fuori degli studi clinici.
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