Silvia Romano venne rapita il 20 novembre 2018 nel villaggio di Chakama, nel sud del Kenya, dove si trovava per conto di una onlus italiana. I suoi rapitori facevano parte di banda di criminali locali che poche settimane dopo averla catturata l’avevano ceduta a un altro gruppo. Gruppo che apparteneva ad al Shabaab, un noto gruppo jihadista legato ad al Qaida che da molti anni controlla pezzi del territorio somalo e compie attacchi terroristici in Somalia e nei paesi limitrofi.
Non è mai stato chiaro dove Silvia Romano abbia passato i 18 mesi della sua prigionia. Fatto sta che il 9 maggio 2020, l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annunciò la sua liberazione: Silvia Romano atterrò il giorno dopo all’aeroporto di Ciampino, a Roma.
La conversione all’Islam come una “libera scelta”
Da quel 10 maggio 2020 la vita di Silvia Romano cambiò radicalmente. Neanche il tempo di tornare a Milano, la città in cui abitava, che cominciarono subito le speculazioni e attacchi mediatici sulla sua conversione all’Islam, per la quale cambiò il proprio nome in Aisha. A tal proposito, la cooperante affermò davanti agli 007 dell’Intelligence italiana che si trattò di una “libera scelta. Non c’è stata nessuna costrizione e non ho subito violenze. Non è vero nemmeno che sono stata costretta a sposarmi. A metà prigionia ho chiesto e ottenuto di poter leggere il Corano e mi hanno accontentata”.
L’unica intervista rilasciata da Silvia Romano a un organo di stampa
Silvia Romano rilasciò poi un’intervista dove raccontò come avvenne la conversione all’Islam. “Nel momento in cui fui rapita, iniziando la camminata, iniziai a pensare: io sono venuta a fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual è la mia colpa? È un caso che sia stata presa io e non un’altra ragazza? È un caso o qualcuno lo ha deciso? Queste prime domande. Credo mi abbiano già avvicinato a Dio, inconsciamente. Ho iniziato da lì un percorso di ricerca interiore fatto di domande esistenziali”.
“Mentre camminavo, più mi chiedevo se fosse il caso o il mio destino, più soffrivo perché non avevo la risposta, ma avevo il bisogno di trovarla”. Il momento rivelatore fu però “dopo quella lunga marcia, quando ero già nella mia prigione: lì ho iniziato a pensare: forse Dio mi ha punito. Forse Dio mi stava punendo per i miei peccati, perché non credevo in Lui, perché ero anni luce lontana da Lui”.
Come è cambiata adesso la sua vita
Nel maggio 2021 La Stampa riportò che Silvia Aisha Romano si fosse sposata con rito islamico con un amico di infanzia (anche lui ha deciso di convertirsi all’Islam). Ora vive in un paese in provincia di Lodi, dove insegna lingue straniere; si era infatti laureata poco prima di partire per l’Africa in una scuola per adulti. Il matrimonio risale al 5 ottobre 2020 ed è stato celebrato a Campegine, un paesino in provincia di Reggio Emilia. Il marito è di origini sarde, riferì ancora il quotidiano torinese, ma in quel periodo viveva in Emilia Romagna.
I due si conoscono da quando erano bambini e hanno riallacciato i rapporti dopo che la 26enne è stata liberata. Adesso, quindi, tre anni esatti dopo quel drammatico accaduto, è riuscita a costruirsi una nuova normalità. Anche i suoi familiari, scriveva sempre La Stampa, avevano scelto di lasciare Milano e di andare a vivere altrove (alcuni in un’altra Regione) buttandosi alle spalle la vicenda del rapimento e tutto quello che ne è seguito.