27 maggio 2012, San Pietroburgo. Dalla finestra del suo ufficio appare un certo Pavel Durov, un bizzarro oligarca di seconda fila. 28 anni non ancora compiuti, è il fondatore e presidente di VKontakte, il maggior social network russo. Succede che in quella giornata si celebri la Festa della città di San Pietroburgo, fondata nel 1703 da Pietro il Grande. Dal sesto piano del palazzo, Durov si diverte a lanciare degli aeroplanini di carta con attaccate banconote da 5.000 rubli (che all’epoca valevano circa 200 euro) e a filmare la reazione della gente, che naturalmente si azzuffa. Un giochetto che Durov fa insieme a Ilia’ Perekopski, vicepresidente di VKontakti. Ma il risultato non sarà esaltante.
La folla dei passanti impazzisce. Qualcuno ne esce con il naso rotto. La blogosfera reagisce molto negativamente: qualche blogger propone di lanciare addosso a Durov delle monetine, altri di uscire dalla sua rete sociale, come ha poi farà il deputato locale di Russia Giusta Andrei Anokhin. Dal suo blog, Durov cerca di scusarsi, sostenendo che il suo gesto voleva essere una piccola lotteria di beneficenza per la festa cittadina. Su Twitter, però, il giovane programmatore rincara la dose. Spiega di aver dovuto interrompere i generosi lanci perché “le persone sono diventate animali”. Tuttavia quell’aeroplanino di carta gli rimase in testa e diventò l’iconcina della sua app: Telegram.
Il simbolo di Telegram compie 10 anni: ma l’app è così sicura come si sostiene
A differenza di quelle banconote, Telegram è più in quota che mai. Arriva sugli smartphone nel 2013 ed è a tutti gli effetti un social network. O meglio: è un ibrido tra un social e un instant messanger. Oggi ha 550 milioni di utenti attivi ogni mese. Prima della guerra in Ucraina, la creatura di Durov si era costruita una solida fama di spazio anarchico e libertario. Negli anni, però, sono state parecchie (nonché violente) le controversie che lo hanno chiamato in causa per aver dato spazio ai jihadisti e all’Isis, a gruppi neonazisti e ai Proud Boys dell’assalto al Capitol Hill, fino ai peggiori complottisti più radicali. Ma anche a gruppi che diffondono opere protette da copyright come libri e giornali. Tutto questo sta a significare che i contenuti su Telegram non sono affatto sicuri.
Matteo Flora, docente, esperto di digitale e fondatore di The Fool, dichiarò qualche settimana fa, a tal proposito: “Telegram è sordo alle richieste di rimozione sul revenge porn. Su piattaforme come quelle di Meta non serve neppure un ordine del giudice: basta la richiesta della vittima per ottenere la cancellazione di contenuti in tempi abbastanza rapidi. Su Telegram non c’è verso. Nella pratica, intervengono solo per reati che abbiano un regime sanzionatorio pesante nei Paesi di origine, quindi negli Emirati. Altrimenti se ne fregano. Agiscono sulle frodi, dove il governo americano può contestare il favoreggiamento. E per la pedopornografia, ma nemmeno tutta”. In Italia intervennero sui gruppi No Vax “ma solo quando ci furono minacce di morte”, spiegò ancora. “Non hanno chiuso i gruppi, hanno disattivato e cancellato solo alcuni contenuti. Tanto che il famigerato ‘Basta dittatura’ è ancora online”.