Il mondo continua a prendere provvedimenti a carico della Russia. Lo scoppio della guerra in Ucraina sta infatti sempre più isolando Mosca e non solo, con un numero sempre superiore di personalità, compagnie e aziende che vogliono evitare ogni rischio di vedersi associate a Vladimir Putin. E, in ordine di tempo, la più recente della lista è Spotify.
Il gigante dello streaming musicale ha infatti dichiarato di aver chiuso i suoi uffici in Russia e di aver rimosso dal suo servizio i contenuti sponsorizzati dallo stato russo. La decisione di Spotify, inevitabilmente, dipende dalla guerra in corso. La sua causa, infatti, è “l’attacco non provocato contro l’Ucraina“, come si legge a chiare lettere in una nota emessa dall’azienda.
Spotify: tutti i contenuti legati alla Russia non più disponibili
La conferma arriva dall’Ansa, che ha dato ampio spazio a quanto comunicato da Spotify e alle conseguenze della sua azione. “Abbiamo chiuso il nostro ufficio in Russia fino a nuovo avviso“, è stata la prima mossa.
Ma la società di Stoccolma, che è peraltro quotata alla Borsa di New York, è andata anche oltre. Spotify ha infatti passato al setaccio “migliaia di episodi di podcast dall’inizio della guerra” e limitato la possibilità di accedere a quelli di proprietà russa o gestiti da organi di informazione legati allo Stato russo.
Già da qualche giorno erano spariti in diversi mercati (tutti quelli dell’Unione europea e non solo) tutti i contenuti di RT e Sputnik. Ossia le testate giornalistiche sponsorizzate dallo Stato russo. Erano però ancora accessibili a chi si connette a Spotify dalla Russia, possibilità che ora continuerà a non venire meno.
È stata sempre Spotify a spiegare le ragioni di questa ulteriore decisione. “Riteniamo che sia della massima importanza che il nostro servizio sia disponibile in Russia per consentire un flusso globale di informazioni“, ha affermato la compagnia. Il servizio streaming esiste dall’ottobre 2008, quando era una startup. Già a inizio giugno 2015 raggiunse i 75 milioni di utenti, che due anni dopo superarono la cifra di 140 milioni.