Negli Stati Uniti, Google cancellerà automaticamente dalla cronologia degli utenti i dati relativi alla localizzazione nelle cliniche in cui è possibile praticare l’aborto. Questa opzione sarà estesa anche a luoghi come i rifugi contro la violenza domestica, i centri per il dimagrimento e altre strutture “sensibili”. L’annuncio, arrivato venerdì 1 luglio tramite un post sul blog ufficiale del colosso, può essere visto come una risposta alla recente decisione della Corte Suprema di permettere a qualunque stato degli Usa di introdurre il divieto all’aborto.
Google vuole tutelare chi sceglie l’aborto
La rimozione dei dati relativi alla geolocalizzazione nei luoghi sensibili avverrà subito dopo che gli utenti se ne saranno andati. Si tratta di una funzionalità utile, soprattutto per chi, per un motivo o per l’altro, non vuole disabilitare del tutto le funzioni di “tracciamento” offerte da Google. Nel post con cui ha annunciato la novità, Big G ha anche svelato che presto arriverà un aggiornamento di Fitbit che permetterà di eliminare le informazioni relative al ciclo mestruale.
Tutti questi aggiornamenti relativi alla privacy sono finalizzati a rimuovere dai server di Google delle informazioni sensibili che potrebbero essere usate per perseguire chi vuole ricorrere all’interruzione di gravidanza.
Altri dati a rischio
Dal punto di vista legale, Google è tenuta a fornire ai governi alcune tipologie di dati, ma la compagnia è intenzionata a “opporsi a richieste eccessive o legalmente discutibili”. Big G ha anche dichiarato che avvertirà gli utenti nel caso in cui dovesse consegnare alcune informazioni che li riguardano al governo, a meno che farlo non implichi dei rischi seri per la sicurezza.
A preoccupare le donne che vivono in stati in cui l’aborto è stato dichiarato illegale (o lo sarà a breve) non solo le informazioni raccolte da Google. Anche le cartelle cliniche sono piene di dati sensibili e negli Stati Uniti sono meno private di quel che si potrebbe pensare. Ciò che è contenuto al loro interno potrebbe essere usato come prova nel corso di un processo. Lo stesso vale per i messaggi inviati tramite lo smartphone e altre testimonianze scritte.