Si è ripartiti dall’Atlantico, dopo il lunedì di riposo. In questo stranissimo settembre, la Grande Boucle è costretta a dividersi la scena con la Tirreno-Adriatico (voto 9: i duelli in volata Ackermann-Gaviria nulla hanno da invidiare a quelli in scena al Tour, anzi). L’arrivo a Ile de Ré ieri doveva essere roba per sprinter, e così è stato, col primo trionfo al Tour de France del fulvo irlandese Sam Bennett (voto 9).
Gran parte del merito va alla sua Deceuninck e in particolare a Morkov (voto 10+), per averlo pilotato sul traguardo come meglio non si poteva: al prode Sam è bastato mulinare i dinamitardi quadricipiti solo negli ultimissimi metri. Stavolta nessuna rimonta al fulmicotone per Ewan (voto 6,5). In acrobazia l’australiano è forse il più bravo, ma dà sempre l’idea di svegliarsi un attimino tardi. Sta prendendo le misure sua maestà Sagan (voto 8): pur non al top, il terzo posto di ieri lascia captare una qual certa bramosia di vittoria in questo 2020 ancora a digiuno.
Tour de France, Elia Viviani unica nota lieta
La notizia più lieta, però, è stato il ritorno là davanti di Elia Viviani (voto 8). Il veronese, la cui condizione meriterebbe un po’ di brillantante, comunque ha ritrovato la sua verve. Di mestiere si è infilato bene nel finale dominato dal team di Bennett: già oggi (Chatelaillon-Plage a Poitiers, 176 km) è da tenere d’occhio, in un’altra frazione per uomini jet.
La crescita di Viviani però resta l’unica nota lieta in casa Italia: il momento nero per i corridori nostrani prosegue. Ieri a finire a terra è stato un altro veronese, Davide Formolo (senza voto): ha comunque portato a termine la tappa, ma la sua clavicola sinistra ha fatto crack. Una notizia nefasta per Tadej Pogacar (voto 8). Avanti così, alla UAE rischia di rimanere solo lui, che pure si giocherà il Tour de France fino alla fine. Soprattutto, il ko di Formolo è un cazzotto allo stomaco per il Ct azzurro Davide Cassani, che perde in chiave mondiale la più valida alternativa a Nibali come punta, visto il tracciato tostarello di Imola.
Insomma, il ciclismo italiano in questa fase farebbe bene a utilizzare qualche scaccia-iella: il bollettino è da lazzaretto. La Tirreno-Adriatico non ha visto al via Giulio Ciccone, stoppato dal Covid. Nibali è caduto anch’egli, fortunatamente senza farsi nulla. Al Tour de France il drappello “italico” ha perso già Rosa, Nizzolo, Aru, Pozzovivo e Formolo. Una Caporetto.
Fabio Aru, un abisso da cui è difficile risollevarsi
E torniamo un attimo sul tema Fabio Aru, visto che dell’abisso in cui si trova questo ragazzo si continua a parlare. E’ chiaro che siamo tutti con lui: il sardo ci ha letteralmente elettrizzato nel quadriennio 2014-2017. Però siamo convinti che non lo si possa aiutare continuando a minimizzare (pratica diffusa tra tanti addetti ai lavori) i tanti errori fatti da lui e dal suo team. In più, bisogna uscire dall’ipocrisia sul suo contratto da top player. Aru meritava quei soldi dalla UAE a fine 2017? Certo che sì, per quanto mostrato gli anni prima.
Però già a settembre 2018, la scelta si rivelò infausta, e le pressioni troppo forti per lui. Non dimentichiamoci gli anni dell’Astana: il giovane scalatore fece faville perché “protetto”, in un team con Nibali, Scarponi, Fuglsang e gregari quali Cataldo, Agnoli e il siciliano Tiralongo, divenuto poi come un secondo padre per Aru. Ecco, a parte quest’ultimo nei panni di aiuto-diesse, alla UAE Fabio non si è portato dietro nessuno, come abitualmente accade per i big.
Nel team degli Emirati ha trovato sì tanti quattrini, ma decisamente poche coccole. Alle prime corse andate male, sono partiti subito processi e rimbrotti, non le carezze a cui era abituato. E la sua sensibilità ha preso piano piano il sopravvento, impedendogli di reagire con forza. E’ finito via via sempre più giù, fisicamente ed emotivamente. Da lì la scelta testarda di continuare con i forsennati ritiri da eremita per monti, invece di prender parte a corse secondarie per preparare quelle blasonate.
Quindi l’erronea convinzione che l’operazione all’arteria iliaca potesse risolvere tutto. Non è stato così, perché è nel cuore e nella testa di Fabio che qualcosa non va, oltreché nelle gambe. E si è trovato solo, nel frattempo: dopo il tracollo al Lombardia, nessuno nello staff UAE è stato in grado di fermarlo. Sulla sciaguratezza della convocazione al Tour de France, Saronni ha tremila volte ragione. E il fatto che lui avesse pensato di poter reggere in quelle condizioni, è la dimostrazione della totale perdita di contatto con la realtà.
Tutti noi facciamo il tifo per lui, ma non possiamo continuare a giocare alla famigliola del Mulino Bianco. Per resettare tutto, Fabio Aru ha bisogno dei suoi cari in primis, perché innanzitutto va recuperato l’uomo. Però c’è anche da analizzare anche la sequela spropositata di errori dell’esperienza in UAE: è l’unico modo per rivederlo ancora in sella.