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Spunti Rosa: Tao Geo rosa sublime. Italia fuori dalla Top 5: mai successo

Il Giro è arrivato a Milano. Nel giorno in cui l’Italia torna ai giri di vite contro la veemenza del Covid, in una piazza Duomo senza pubblico si è chiusa l’edizione della corsa rosa più stramba e anomala delle 103 complessive. Al di là dei mille problemi, dei contagi, dei ritiri da Covid, di quelli da borracce ruzzolanti, degli scioperi empi, del freddo e di tanto altro ancora, la carovana è approdata sotto la madonnina. A Mauro Vegni e a tutto il suo squadrone, va fatto un grande applauso (voto 10). Pur imperfettissimo, questo Giro resterà segnato in grassetto negli albi storici, tanto si è corso in circostanze particolari.

Purtroppo, l’anomalia non è stata soltanto di atmosfera. Per la prima volta in assoluto, nessun corridore italiano ha chiuso tra i primi cinque. Un segnale lampante della siccità profonda in cui versa la nostra scuola, i cui fasti della golden age paiono oggi lontanissimi. Così rimaniamo aggrappati alle gambe “dinamitiche” di Filippo Ganna, che dopo un mese vissuto nell’iperuranio, ieri è scoppiato a piangere per il trionfo del suo coetaneo Teo Geoghegan Hart. Nel team Ineos meritano un 10 con lode che fa provincia tutti, nessuno escluso. Il blindato da guerra di Dave Bailsford ha letteralmente cannibalizzato la storia di questo decennio di ciclismo. Se però tante delle vittorie del tema britannico e dei trofei divorati qua e là sono arrivati nel segno quasi della monotonia tirannica, questo Giro ha tutto un sapore diverso. E’ stato un successo da squadrone vero. Di tattica, di resistenza e di resilienza, soprattutto dopo il prematuro ritiro di Thomas, il capitanissimo e favorito della vigilia.

Tao e Ganna: il nuovo che avanza

In primis proprio per Pippo Ganna: rosa iniziale, quattro tappe, primo atleta dopo 25 anni a papparsi tutte le crono in programma. Più di un’iradiddio. Un fiore nel deserto, per il nostro movimento: senza di lui saremmo a piangere lacrimotti da mezzo litro l’uno. Archiviata questa mirabile stagione, che per lui ora proseguirà in pista, ci sarà da capire che strada fargli prendere su strada (passateci la cacofonia). A cronometro è un portento, e va bene. Ma magari per qualche classica importante ci si può lavorare già dal 2021.

E veniamo a Tao. Neanche il più temerario degli scommettitori avrebbe buttato due centesimi sul suo nome. E non alla vigilia, ma anche semplicemente dopo la prima settimana. Il britannico invece è un’altra espressione perfetta di questa generazione di saette precoci nate dalla metà degli anni ’90 in poi. Bernal, Pogacar, Hirschi, Evenepoel: l’elenco inizia a farsi lunghetto. Tao è fiero delle sue origini e attaccatissimo alla sua famiglia, alla sua terra e all’Arsenal, di cui è tifoso sfegatato. Racchiude la modernità del corridore completissimo: si sapeva che a crono poteva farcela ieri, e lungo i rettifili all’ingresso di Milano ha fatto la differenza. E’ una maglia rosa degnissima, la seconda britannica dopo sua maestà Froome nel 2018. Terza menzione Ineos va a Rohan Dennis. Questo australiano ha sempre avuto la nomea di ragazzotto frignone e lunatico, poco incline ai meccanismi di squadra. In questo Giro è parso un’altra persona, e ha fatto una terza settimana coi controfiocchi al servizio di Hart. A trent’anni, quasi verrebbe il ghiribizzo di dargli una chance da capitano. Chissà.

I vinti del Giro 2020 (e la situazione Nibali)

Eccoci ai vinti. Stremato e con un pizzico di delusione, Jai Hindley (voto 9) ha annusato la maglia rosa il tempo di 24 ore. Sui livelli di Tao ha retto due chilometri e mezzo a cronometro, poi è stato costretto a gettare la spugna e ad andare con rapporto agile a ritmi per lui più consoni. Lo rivedremo: è un ragazzo che in salita ha margine, è scaltro, e a 24 anni l’anno prossimo sarà prima punta nella Sunweb. Squadra dove non ci sarà più Wilco Kelderman (voto 6): il podio dell’olandese è un premio alla regolarità. Non è uomo da acuto, il lungagnone olandese. Avrebbe meritato molto più di lui di stare sul podio Joao Almeida (voto 10), che dopo 15 giorni vestito di rosa, ieri ha messo la freccia e ha strappato la quarta piazza a Pello Bilbao (voto 8). Il virgulto portoghese è già un abbozzo chiaro di campione, sta nella squadra giusta per crescere, ha un intero paese dietro e può fare faville negli anni a venire.

Chiudiamo con Vincenzo Nibali (voto 7). Oddio, il suo Giro sarebbe da 5, ma lo Squalo è pur sempre la prima bandierina italiana quando si scorre la classifica finale col suo settimo posto. In questa stagione balorda non ha mai trovato il ritmo: mettersi in forma in tempi rapidi e con pochi chilometri nelle gambe non è mai stato facile per lui. A 36 anni lo è ancora meno. E’ un campionissimo che ha già una poltrona riservata nel gotha di questo sport, ma c’è la convinzione che un altro paio d’anni possa farli divertendosi. Con altri obbiettivi (classiche in primis), meno pressioni, più sorrisi. Nella speranza che il 2021 sia un tantino più normale del 2020, cosa al momento tutt’altro che scontata. Il Giro che mandiamo agli archivi, in questo anno pazzo, è comunque rigonfio di belle storie. E alla fine nel ciclismo è soprattutto questo che conta.

Valerio Mingarelli

Nato a Fabriano, ai piedi degli Appennini, nel 1980. Ho iniziato a “gattonare” nelle testate locali umbre e marchigiane grazie al basket e al calcio. Giornalista professionista dal 2008, da allora tra Milano e Roma ho sempre fatto il viandante dell’informazione girovagando per radio, TV, quotidiani, agenzie e uffici stampa. Con la penna o col microfono in mano, mi sono sempre divertito da matti. Oggi seguo perlopiù le vicende del Parlamento nostrano, ma lo sport rimane sempre una passionaccia elettrizzante.

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