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Serie A, lo sfregio storico non c’è stato. Ora pubblico e stop “rigorite”

Ci aspettavamo un bimestre orripilante, uno sfregio indelebile alla storia del pallone, e invece si è rimasti ben dentro il limite della decenza. Il campionato di Serie A 2020 piazza i suoi ormeggi negli almanacchi, e lo fa dopo settimane divorate a ritmi forsennati, tra grandinate di rigori, qualche capitombolo, diverse resurrezioni e immancabili polemiche. A Cesare, pardon a Gravina, va dato ciò che è di Gravina. Si voleva salvare il salvabile, dopo il passaggio a livello sbarrato primaverile. E ci si è tutto sommato riusciti. Ora è già tempo di tuffarsi nell’off season più breve di sempre, ma prima facciamo mente locale su ciò che è stato.

Serie A, Juve campione “in affanno”

La Juve ha vinto, lo ha fatto per la nona volta in fila, ma a fari spenti e senza la minima stilla di amplesso. Al termine della gara con la Samp, quella del suggello dell’aritmetica, nei volti di CR7 e banda è apparso più un senso di liberazione che di libido. Intorno al verace Sarri, tempo di ripulirsi dai gavettoni si è levato subito un coro di brusii. Fisiologici, visto che col mister toscano ci si aspettavano ben altre leccornie in termini di gioco. Gli va però dato atto di aver abbandonato in tempo utile ogni velleità di caviale e champagne. E di aver imbastito il miglior rinfresco possibile, magari a crackers, salame e trebbiano, per “sfamare” il palato di un popolo, quello bianconero, assuefatto alle abbuffate in campionato. Adesso, tra qualche turbolenza di pancia di Ronaldo e le margherite private dei petali nel dilemma “Sarri-sì, Sarri-no”, per la Vecchia Signora si apre un mese delicatissimo.

Inter, “la prima dei perdenti”

Non meno facile di quello dell’Inter, la “prima delle perdenti” (copyright… va beh, è noto). E’ innegabile: l’occasione per ricucirsi lo scudo al petto quest’anno era ghiotta. E con meno giri sulle montagne russe, forse a quest’ora parleremmo di un altro film. Restano invece i litri di bile della sbroccata finale di Conte: altrove si brinderebbe a calici levati per una seconda piazza a un punto dalla prima. E si guarderebbe già all’indomani. L’ex Ct invece ha preferito lavare i panni sporchi in piazza e non in casa, e con massicce dosi di vetriolo (che non smacchia granché, oltretutto). Il personaggio lo conosciamo e va bene, ma non è del tutto chiaro se quella sparata era volta a inchiodare la società o ad assolvere sé stesso.

Serie A, la favola Atalanta piace a tutti

Sul terzo gradino del podio, la pietanza più saporita. Quella cucinata da Gasperini con la sua Atalanta tutta corsa, gol e arrembaggio. Peccato per il caso Ilicic: i bergamaschi non meritavano di dover fare a meno di uno dei loro preziosi più lucenti. Il progetto plasmato a Zingonia comunque è tantissima roba. Premio “coitus interruptus” invece per la Lazio. Ricordate i giorni del lockdown? Lotito portava quintali dall’acqua al mulino degli oltranzisti della riapertura. A Formello se la sono sentita troppo calda, forse. Il fiore rigoglioso di Inzaghi, dopo la sosta si è appassito come un papavero sradicato dal vento. Resta una stagione mirabile quella della Lazio, ma per un ulteriore salto di qualità serve non una rosa con più petali, altrimenti arriveranno altri papaveri flosci.

Ha di che sorridere il Napoli, al termine dell’annata peggiore tra le ultime. Con Gattuso sono tornati pepe, sapore, entusiasmo e anche una Coppa Italia (che fa sempre brodo). Ha addirittura di che sbellicarsi dalle risate il Milan, forse al punto più alto dell’epopea post-berlusconiana. Con Ibra (chapeau) a fare da condottiero, pivot, chioccia, collante, leader vocale e chi più ne ha più ne metta, Pioli ha ridato verve a un ambiente esausto e scazzato. Inoltre, ha fatto rinsavire la dirigenza dalla voglia di esotismo con Rangnick. Sarebbe stato un suicidio tecnico, con sole sei settimane a dividere i due campionati. Si chiudono invece dodici mesi di anonimato puro in casa Roma. Con cotante lacune societarie, l’impressione è che a Trigoria le tribolazioni siano destinate a sopraffare le gioie ancora per parecchio.

Sassuolo, via il cappello per De Zerbi

Via il cappello per il Sassuolo di De Zerbi, squadra bella, pimpante e con geometrie moderne. Chiudono con lo “smile” anche Verona (oltre ogni attesa), Bologna e Parma. Senza troppo gaudio invece il primo anno griffato Commisso in Serie A per la Fiorentina. E ancora: il bel Cagliari di avvio campionato si è squagliato come un ghiacciolo caduto sull’asfalto, mentre il Torino, vista la buriana contraria, ha pensato solo a portare le chiappe in salvo dalla zona retrocessione. L’ha sfangata anche quest’anno  l’Udinese, simbolo pluriennale di solidità. Scialbo e incolore invece il torneo della Sampdoria. Infine, priva di ogni rivolo di gloria la salvezza del Genoa al fotofinish: c’è il Lecce a leccarsi le ferite, con la consapevolezza che sarebbe bastato sperperare qualche punto in meno per salire sulla scialuppa. Annata all’insegna del masochismo quella del Brescia: il sogno Balotelli si è fatto troppo presto incubo. Con l’addio di mister Semplici, invece, le rogne della Spal si sono quintuplicate, invece di svanire.

Ora pubblico e basta “rigorite”

Insomma, bicchiere mezzo pieno per questo bizzarro scorcio estivo di Serie A. Con un tasto dolente, anzi dolentissimo: l’avvento della “rigorite” cronica. Malattia che, sportivamente, ha fatto più danni del Covid-19. Il buon senso nell’assegnazione dei penalty non è solo venuto meno: si è letteralmente polverizzato. Di certo non si possono vedere tiri dal dischetto con la stessa frequenza dei tiri liberi nel basket: questa china va raddrizzata. Subito. Non è l’unico patema d’animo di Federazione, Lega e società. Il ritorno del pubblico, seppure a scarto ridotto, è cruciale: un altro solo trimestre di rimbombi negli stadi sarebbe mortale. C’è poi la ripartenza del 19 settembre, che prefigura una stagione formato calvario per la quantità di impegni compressi. Castrata quindi ogni ambizione di “tabula rasa”: le squadre che sognavano il “ground zero” tecnico e umano, dovranno starsene più tranquille. Stavolta chi stravolge meno ha più chance di lenire i dolori autunnali. Juve e Inter, ci siamo capiti?

Valerio Mingarelli

Nato a Fabriano, ai piedi degli Appennini, nel 1980. Ho iniziato a “gattonare” nelle testate locali umbre e marchigiane grazie al basket e al calcio. Giornalista professionista dal 2008, da allora tra Milano e Roma ho sempre fatto il viandante dell’informazione girovagando per radio, TV, quotidiani, agenzie e uffici stampa. Con la penna o col microfono in mano, mi sono sempre divertito da matti. Oggi seguo perlopiù le vicende del Parlamento nostrano, ma lo sport rimane sempre una passionaccia elettrizzante.

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