Peter Sagan (voto 114, come le sue vittorie), per il Giro 2020 è molto più di un concorrente. In una giornata cominciata nel tritacarne per tutto il carrozzone rosa, l’asso slovacco ieri è stato l’uomo che ha letteralmente tolto le castagne dal fuoco a tutti spazzando via rumors, cicalecci e polemiche con un numero da fuoriclasse assoluto. Qual è. Commentiamo le sue gesta da agosto: la sua annata di pura foga, nella ricerca ossessiva di quel successo che non riusciva ad arrivare, ci ha lasciato spesso qualche perplessità. Ieri però, quasi a volersi tirare fuori dal viottolo del tramonto che pareva aver imbeccato, ha dato letteralmente spettacolo.
Nel sinuoso e vallonato percorso abruzzese, oltre ad aver animato la fuga giusta, ha giostrato al meglio tattica e forze. Una prestazione da ciclismo d’altri tempi: davvero minuti e minuti di applausi. Ah, piccola postilla: ha persino riaperto la faccenda della maglia ciclamino. Con lui quindi il divertimento è ancora assicurato.
Dicevamo del tritacarne. Lo si sapeva: la tornata generale di tamponi di lunedì suscitava timori. Più che fondati, a dirla tutta: ben otto le positività tra staff e corridori. La Mitchelton-Scott, il team australiano che già aveva perso per il Covid-19 Simon Yates, ha sventolato bandiera bianca. Troppo rischioso andare avanti con quattro membri dello staff positivi: scelta inevitabile. Due i corridori costretti alla resa, entrambi pesci piuttosto grossetti. Il primo è stato Michael Matthews della Sunweb. L’australiano era stato troppo brutto per essere vero nella prima settimana: svelato l’arcano. L’altro è stato invece Steven Kruijswijk, il veterano olandese arrivato in Italia per puntare alla rosa finale. Proprio intorno al suo ritiro, si è poi consumata la farsa: la Jumbo-Visma, lo squadrone giallonero protagonista anche al Tour, ha fatto fare i bagagli a tutti e ha deciso di non partire.
Una decisione di puro sprezzo, nei confronti della corsa rosa e del pubblico italiano. Come a dire: col capitano out, di rimanere qui non ce ne frega più nulla (voto 0). Non solo: gli olandesi hanno pure sollevato accuse molto poco circostanziate di promiscuità negli alberghi con gente estranea alla carovana. Insomma, fuggiaschi e queruli. Bah.
Il Giro d’Italia 2020 è insomma una corsa a eliminazione: lo abbiamo già scritto. Ieri la iella ha tentato di togliere di scena, o più propriamente di classifica, il danese Jakob Fulgsang (voto 7: lo vedremo all’attacco i giorni prossimi). Il capitano dell’Astana ha forato nel momento peggiore, chiudendo attardato e non di poco: ora si trova a oltre 2’ dalla maglia rosa. Non il massimo. A proposito di maglia rosa: Joao Almeida è sempre più a suo agio in vetta alla classifica (voto 9). L’incognita sul Giro che vedremo da qui al 25 ottobre, lo lascia saldamente nel lotto dei favoriti con i Nibali, i Kelderman, i Majka, i Fulgsang, i McNulty (voto 8, bravissimo), i Konrad, i Pozzovivo (anche lui ha forato in un momentaccio, ma è rientrato con grandissima brillantezza, voto 9) e i Pello Bilbao (ne parlano in pochi, ma è pericolosissimo: voto 8).
E quindi veniamo proprio a quell’incognita. Allo stato attuale le tappe alpine sono tutte a forte rischio. Dello Stelvio e del colle dell’Agnello abbiamo già scritto: a fine ottobre pensare di passare con nonchalance oltre quota 2700 metri è stato un azzardo insensato da parte degli organizzatori. Ieri alcuni sciatori hanno filmato lo Stelvio completamente innevato: per quanto il meteo possa migliorare, passare lassù è ormai impossibile tra una settimana e poco più. Il guaio non è solo la neve: sulle Alpi ci sono bassissime temperature ovunque. A Pincavallo come sul Bondone, la temperatura è andata sotto lo zero in questi giorni. Non dovessero rialzarsi i termometri in maniera decisa, beh, altro che Covid: a creare problemi ai corridori sarà il freddo gelido. Sappiamo che è difficile tra sponsor e impegni presi con gli enti locali riscrivere i tracciati di una corsa simile. Però quello di questo Giro autunnale andava rivisto da capo a piedi: era lapalissiano già quest’estate. Come accaduto con le tre tappe ungheresi, si potevano spostare al 2021 i tapponi alpini di quest’anno, e ripensare per intero il percorso 2020. Magari anticipando le Alpi, rimanendo attorno ai duemila metri e non oltre, e spostando il clou sugli Appennini come al Giro del centenario del 2009. Invece si è preferito un “che Dio ce la mandi buona”. Non il massimo.
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