Il dibattito sul futuro del calcio europeo, tanto lisergico quanto a tratti surreale, è salito decisamente di colpi in questo mese di febbraio. Il vento del cambiamento che spira sulle competizioni del Vecchio Continente, va a incanalarsi tra l’elitarismo dei club soliti noti e la necessità dell’Uefa di essere inclusiva e decoubertiniana. Il progetto della Super Lega, una sorta di Coppa dei Campioni potenziata con slot fissi in dote ai vari top team (i Real, i Barça, i Bayern, le due di Manchester e via dicendo), sembra destinata a finire in soffitta. “Dentro tutti!” è il motto dell’avvocato sloveno Aleksander Ceferin, nocchiero dell’Uefa da un lustro scarso.
Dalla Super Lega alla Super Champions
Così è aumentato di decibel il chiasso sulla Super Champions, da affiancare all’Europa League e a una terza coppa, sul cui nome ancora lo scenario è fosco (Conference League?). Sarebbe la farraginosa e cervellotica risposta dell’Uefa all’Eca, quell’European Club Association che ormai da anni brama e si batte i pugni sul petto per la Super Lega. Niente torneo “noblesse oblige”, dunque, e disco verde dal 2024 a un torneone con tutti dentro, aperto nei fatti a tutte le 55 federazioni che stazionano sotto l’ombrello dell’Uefa.
I tre tornei, dalla super Champions all’E. League fino alla coppetta degli indigenti, impegnerebbero 96 squadre, 32 ciascuno. Per una stagione che andrebbe a iniziare i primi di settembre per concludersi a maggio: una scorpacciata da star male. Per la massima competizione continentale, la fase a gironi conterebbe 180 match. Il doppio rispetto ad ora: un campionato bis rispetto a quello nazionale, in parole povere.
Tanto che c’è un punto sul quale si sfoglia ancora la margherita: giocare nel week-end o con turni infrasettimanali? I sostenitori della necessità di vedere Juve-Real il sabato o la domenica, lasciando il mercoledì al più mesto Juve-Spezia, sono svariati. E questa sì che sarebbe una rivoluzione copernicana, visto che in Italia si contano battaglioni di nostalgici del campionato dei fasti di Ameri, Ciotti e banda, tutto di domenica, l’antitesi di quest’epoca di spezzatino sempre più ridotto a salmì.
Un cambiamento fissato per il 2024
Una cosa è certa: nel 2024 le formule dei tornei europei faranno un “tagliando”, e andranno riviste. In quell’occasione la bulimia dei club si manifesterà in tutta la sua cronicità. Sta maxi-Coppa è davvero quello che serve al calcio di oggi? C’è bisogno davvero di aggiungere partite su partite a calendari che già scoppiano, pieni come uova?
Da l’Equipe al Guardian, da The Athletic alla nostra Gazzetta dello Sport, la stampa pallonara europea ha subito messo in piedi una corale di no all’elefantiaco progetto dell’Uefa. E nella sola Torino, sulle due sponde del Po, abbiamo visto un Urbano Cairo sprezzante opposto ad un Andrea Agnelli convinto che il calcio debba vincere il suo storico approccio conservatore.
I paragoni con la Nba, frattanto, si sprecano. Ed è qui che casca l’asino. Quella Lega è un mastodonte che cresce in quasi tutti gli indicatori. Però è assodato che il suo difetto principale è quello del numero sterminato di gare, che spesso si traduce in decine e decine di match di regular season quanto meno interlocutori, per non dir di peggio. Ecco, la Super Champions e la Super Lega dalla Nba vogliono prendere forse l’aspetto peggiore: la quantità.
Che porta soldi, ma non per forza più qualità. Dell’istituzione di un salary cap per i grandi club modello Nba, che al calcio europeo servirebbe come l’ossigeno visti i bilanci disastrati sparsi per il Continente, non se ne parla nemmeno. E non è all’orizzonte neanche una trasformazione dei super team del pallone in franchigie, come accade nello sport a stelle e strisce (Nba, ma anche Nhl, Nfl, etc). Quindi paragonare una Super Champions alla Nba sembra una supercazzola, francamente.
Calcio e Basket: due mondi differenti
Gli Usa non sono l’Europa, d’accordo. E il basket non è il calcio. Di certo la Nba è il torneo sportivo più seguito al mondo perché i migliori cestisti sulle terre emerse finiscono di default lì. E questo è un dato su cui riflettere: quando un Andrea Agnelli chiede più gare annue contro Psg o Real Madrid, e meno contro Spal o Benevento, non può aver torto. Una riforma seria delle coppe europee attuali passa giocoforza per un cambio fortissimo di ruolo e di status dei campionati nazionali. Che andranno ridimensionati.
Anche perché così sono prodotti sempre più complicati da vendere. Delle ultime dieci serie A, nove le ha vinte la Juve. In Bundesliga il Bayern è reduce da otto titoli in fila. Nella Liga, negli ultimi quindici anni in un solo anno si è interrotta la tirannia Real-Barça (titolo all’Atletico nel 2014). In Ligue 1, poi, nell’ultimo decennio il Psg ha giganteggiato spesso senza sudare. Un cambiamento, dunque, si impone. Un torneo continentale dove si sfidino sempre i migliori è auspicabile: più spettacolo, business più sostenibile, più programmazione a lunga gittata.
Forse però bisogna arrivarci per gradi: quest’anno di calcio a spalti vuoti richiederebbe più prudenza. Raddoppiare le partite europee con la speranza di allargare la mangiatoia probabilmente è riduttivo. E potrebbe rivelarsi pure deleterio.