Eppur si muove. Anche al di là dell’Atlantico, lo sport scalda i motori. Nei giorni in cui l’intero pianeta si sollazza su Netflix con “The last dance”, la pluri-dibattuta agiografia di Micheal Jordan e dei suoi Bulls che imperversarono negli anni ’90, i team Nba dei tempi d’oggi tornano flemmaticamente al lavoro alla spicciolata. Da quelle parti ci sono pochi dubbi ormai: nella Lega non si ragiona più sul “se” ripartire, ma sul “come” e sul “quando”.
Nella girandola delle conference call che si susseguono da giorni, ce n’è stata una tre giorni fa più risolutiva delle altre. Cioè quella per pochi intimi convocata da Chris Paul, fidato nocchiero dell’associazione giocatori, alla quale hanno preso parte tutte le stelle più lucenti della Lega odierna. Tutte tranne una: ha suscitato brusii l’assenza di quel James Harden che veleggiava a 34,4 punti a serata, prima che il Covid-19 facesse capolino. Lo sanno anche i muri: Paul e Harden, per anni compagni di backcourt a Houston, si amano il giusto. E in queste ore negli Usa si sprecano chilometri di inchiostro in retroscena.
Paul, James e Curry insieme per la ripresa della Nba
A rispondere alla chiamata di CP3 sono stati invece Lebron James, Giannis Antetokounmpo, Kawhi Leonard, Kevin Durant (rimembriamo: ai box per infortunio prima dello stop), Steph Curry (rotto anch’egli), Anthony Davis, Damian Lillard e il dirimpettaio di spogliatoio di Harden nei Rockets, Russell Westbrook.
Da questo gran conclave di All-Star e futuri membri della Hall of Fame, è emersa una volontà chiara: il circo va rimesso in moto. La Nba ha già lasciato sul selciato 400 milioni di dollari in questi due mesi di lockdown. Si parla poi di riduzioni stipendi e di salary cap da ritoccare: la spia rossa dei quattrini crea ansie diffuse. In più, come ha dichiarato un ex MVP come Steve Nash, i giocatori iniziano a subire il contraccolpo anche a livello di calotta cranica.
Ci si allena, dunque. A partire tra i primi, a ferreo regime individuale, sono stati proprio i Toronto Raptors campioni in carica. Si tira e sgambetta anche a Denver, Portland, Sacramento, Phoenix e si è già mosso qualcosa anche a Est (Washington e Cleveland). Da qui a cinque giorni, comunque, almeno 24-25 squadre su 30 torneranno a produrre stille di sudore in palestra.
Giocare solo in due sedi? Aspettare due settimane in più e riprendere normalmente “solo” a porte chiuse? Scegliere gli Stati meno aggrediti dal virus? Si vaglia ogni opzione, ma di partite da qui a un mese neanche l’ombra. Tanto il gran visir Adam Silver lo ha già messo in conto di aprire le danze della prossima stagione a dicembre. Forse perché sa bene di non potersi permettere il lusso di non chiudere questa.