Calcio e Arabia Saudita, una strategia chiamata sportswashing

Arabia Saudita e sportswashing: dietro ai miliardi c’è qualcosa di più? È la domanda che si stanno facendo in molti. Il Paese arabo sta, infatti, facendo molto parlare di sé. L’estate del calcio, fino ad ora, è stata costellata di colpi di mercato di altissimo livello, sia tecnico sia economico. Calciatori che, in alcuni casi ancora all’apice della carriera, hanno deciso di lasciare l’Europa e trasferirsi nel Golfo a giocare. Una serie di investimenti che portanno sicuramente il campionato dell’Arabia Saudita a crescere a livello tecnico, potenzialmente trainando un movimento che comunque ha ben figurato agli ultimi Mondiali. Qualcuno, però ha storto il naso. Si potrebbe, infatti, trattare anche di un’operazione più a larga scala, che mira a “ripulire” l’immagine del Paese e a nascondere in qualche modo le sue numerose contraddizioni.

Sportswashing, a questo mira l’Arabia Saudita?

Grandi nomi nel campionato di calcio dell’Arabia Saudita e, in generale, nei campionati locali arabi se n’erano già visti in passato. Ci era passato, a suo tempo, persino il più grande di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, anche se come allenatore. Mai, però, dalle parti di Riyad si erano visti così tanti soldi investiti nel pallone. Ad aprire questo nuovo mercato è stato Cristiano Ronaldo, che il 30 dicembre dello scorso anno ha firmato un contratto da  200 milioni di euro a stagione con l’Al Nassr.

È il calciomercato estivo 2023 ad aver, però, portato in Arabia Saudita un numero incredibile di campioni. La lista è molto lunga. Parliamo di Sergej Milinkovic-Savic, Kalidou Koulibaly, Marcelo Brozovic, Firmino, Karim Benzema e Ngolo Kanté, solo per citarne alcuni. Tutti calciatori che avrebbero potuto scegliere di giocare ancora ad alti livelli in campionati europei, ma che hanno preferito percorrere un’altra strada. E molti altri ancora ne arriveranno. Non solo giocatori, ma anche allenatori. Basti pensare, per esempio, alla scelta di Steven Gerrard. Il tecnico ha scelto l’Al-Ettifaq, dicendo addio all’Europa.

Sergej Milinkovic-Savic, ha lasciato la Lazio per andare in Arabia Saudita
Immagine | Ansa @Massimo Insabato – Newsby.it

Qualcuno ha paragonato l’Arabia Saudita alla Cina. Qualche anno fa il campionato cinese e le sue offerte fuori mercato avevano attirato numerosi calciatori. Dopo alcune stagioni, però, il fenomeno si era sgonfiato e gli ingaggi milionari erano scomparsi. Qui, però, la sistuazione sembra molto differente. Proprio per questo si parla di sportswashing.

Una strategia per “ripulirsi”

La presenza dello Stato nelle dinamiche calcistiche dell’Arabia Saudita non può di certo dirsi secondaria. I quattro top club sauditi – Al Hilal, Al Ittihad, Al Nassr e Al Ahli – sono controllati al 75% dal Public Investment Fund (Pif) – il fondo di investimento da 650 miliardi di dollari del governo saudita. L’obiettivo del governo, almeno dal punto di vista sportivo, è far diventare la Saudi Premier League in 5-6 anni una delle dieci migliori leghe dal punto di vista tecnico, commerciale e finanziario.

C’è poi un secondo aspetto, su cui molti stanno puntando il dito. Lo sportswashing, appunto, una imponente operazione di marketing che attraverso il pallone punta a “ripulire” l’immagine dell’Arabia Saudita. Togliere, cioè, agli occhi della comunità internazonale il legame tra il Paese e le accuse di gravi violazioni di diritti umani e politici che si porta dietro da sempre, assieme alla criminalizzazione dell’omosessualità e alla negazione di diritti fondamentali per le donne.

In che modo? Da un lato spostando le telecamere dei media su altre questioni, come per esempio i contratti milionari e la crescita del campionato saudita. Dall’altro sfruttando la cassa di risonanza dei calciatori. Un post sui social di Cristiano Ronaldo che parla bene dell’Arabia Saudita vale più di moltissime campagne di marketing. Moltiplicate questo per tutti i calciatori ingaggiati e avrete il risultato finale. Nel frattempo, però, serve fare i conti con la realtà. Per conoscerla è sufficiente leggere il rapporto di Amnesty sull’Arabia Saudita: condanne a morte, repressione del dissenso, processi farsa, discriminazione contro le donne e contro le minoranze, nessuna libertà di espressione e di associazione.

 

 

 

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