A tre anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 20 luglio 2017, è ancora aperta la ferita per la morte di Chester Bennington per molti appassionati di musica. Lo storico leader dei Linkin Park è stato probabilmente stato uno dei migliori parolieri della sua generazione ad aiutare il suo pubblico ad affrontare le proprie paure e i propri demoni; perché parlava di qualcosa che conosceva fin troppo bene e che purtroppo lo ha portato a togliersi la vita 36 mesi fa nella sua residenza a Palos Verdes Estates, in California, lasciandoci in eredità la rappresentazione del suo tormento, descritto in 12 album, di cui nove con i Linkin Park. Quel dolore cantato da Chester Bennington alla lunga, a dispetto di una parabola professionale e umana che pareva un’esemplare storia di riscatto e salvezza, lo ha ucciso.
Suona un po’ strano cercare emblemi sociali dopo 40 anni in cui abbiamo salutato con dolore Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e tanti altri, perché quando sono nati i Linkin Park si viveva l’illusione di avere già avuto tanto e questo ci faceva paura. Dalle prime note inquietanti di Papercut, però, ci si è accorti che non era così. I Linkin Park hanno fatto irruzione nella nostra vita che era appena scoccato il 2000, un anno di rottura con il quale si chiudevano i meravigliosi e confusi anni ’90. Chester Bennington aveva di certo il carisma e il dolore necessario per intrattenere e commuovere allo stesso tempo. In un momento ti faceva a pezzi con Faint e Given Up, ora ti distruggeva con Breaking The Habit e In The End e ora ti abbracciava con Numb. Gridava e sussurrava e ci aveva fatto capire che quella rabbia e quel tormento ci mancavano, in quei 2000 in cui tutte le più grandi band maledette avevano già dato il massimo.
Il ricordo di Chester Bennington arriva proprio nei giorni in cui Dan Scavino, vicedirettore della Casa Bianca per le comunicazioni e direttore dei social media, ha twittato un video che usava In the end come colonna sonora per fare propaganda politica; il video è stato prontamente rilanciato da Donald Trump. La band non ha mai nascosto il proprio disprezzo per il presidente (“Per gli USA è una minaccia maggiore del terrorismo”, disse lo stesso Bennington) e ne ha chiesto la rimozione immediata. Risultato: il video è stato cancellato dalla piattaforma per violazione di copyright. Non è la prima volta che lo staff di una band riesce a impedire a Trump l’uso di una canzone su piattaforme social: era già successo, per esempio, ai R.E.M., che nel 2019 avevano fatto bloccare un video usato dal presidente che usava la loro Everybody hurts.
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