Con l’arrivo di Netflix e di altre piattaforme di streaming in Italia, il numero degli appassionati di serie tv (che già non era esiguo) è cresciuto a dismisura. Ormai le serate a base di divano, cibo ed episodi da 40/50 minuti sono diventate una piacevole tradizione per molti italiani, arrivando a far passare in secondo piano l’ozioso passatempo dello zapping. Non c’è nulla di male nell’amore per le serie tv, tuttavia in alcuni casi chi le segue tende a non guardarsi troppo attorno o a sottovalutare altre forme di intrattenimento. È il caso, per esempio, degli anime. Nel corso degli anni hanno un po’ perso lo stigma di prodotti infantili (merito anche di opere come “Neon Genesis Evangelion“, “Death Note” e, più recentemente, “L’attacco dei giganti“), ma è innegabile che non tutti li ritengano prodotti con una dignità pari a quelli di altri media.
Si tratta spesso di un pregiudizio, magari legato alla convinzione che tutti gli anime siano realizzati con lo stampino e non possano piacere a un pubblico adulto. In realtà il panorama dell’animazione giapponese è molto più vario di quanto si potrebbe immaginare e nasconde al proprio interno perle di rara bellezza, che hanno poco o nulla da invidiare alle serie tv più blasonate. Talvolta però queste produzioni sono messe in ombra da opere più commerciali e mediocri, dunque è normale che non tutti le conoscano. In questo articolo proverò a consigliare alcuni anime che potrebbero incontrare i gusti dei campioni del binge watching, andando a paragonarli a serie simili per trama e atmosfere.
La scacchiera come metafora della vita: “La regina degli scacchi” e “Un marzo da leoni”
Gli scacchi e lo shogi sono due giochi di strategia che, pur presentando delle importanti differenze, hanno più di un punto in comune. Entrambi derivano dal caturaṅga, un antico passatempo indiano, si giocano davanti a una scacchiera e sono al centro di prestigiosi tornei. Proprio come i due giochi, anche la serie tv “La regina degli scacchi” e l’anime “Un marzo da leoni” (tratto dall’omonimo manga di Chika Umino) sono piuttosto simili. In entrambi i casi il personaggio principale (Beth Harmon in un caso e Rei Kiriyama nell’altro) ha alle spalle un’infanzia molto difficile e deve aggrapparsi al proprio talento in un gioco di strategia per provare a rialzarsi in piedi.
La solitudine di due geni
Anche la solitudine e la difficoltà a relazionarsi con le altre persone sono due temi in comune. Sia Beth che Rei faticano a stringere dei rapporti genuini e, in molti casi, è solo quando si ritrovano a confrontarsi con un avversario al tavolo da gioco che riescono a trovare qualcuno in grado di comprendere le loro sofferenze. In “Un marzo da leoni” non viene affrontato il tema dell’abuso di sostanze stupefacenti, tuttavia viene dato ampio spazio alla depressione, al suo impatto sulla vita di tutti i giorni e alle difficoltà che deve affrontare chi vuole tenerla a bada.
Entrambe le stagioni di “Un marzo da leoni” uscite finora sono disponibili su Netflix (proprio come “La regina degli scacchi”).
Viaggi nel tempo tra microonde e cittadine tedesche
“Steins; Gate” e “Dark” non sono molto simili dal punto di vista dell’atmosfera, però affrontano entrambi il tema dei viaggi nel tempo e mettono lo spettatore di fronte a decine di misteri. È difficile fermarsi dopo la visione di un solo episodio: la voglia di sapere come andrà avanti la trama è fortissima sia in un caso che nell’altro. “Dark”, come suggerisce il nome, affronta una storia molto cupa ed è ambientata a Winden, una cittadina della Germania.
L’intricata vicenda parte della scomparsa di due bambini e coinvolge quattro famiglie del piccolo centro abitato, tutte con alle spalle dei segreti e una strana connessione col passato. È una serie che richiede parecchia concentrazione, non solo perché affronta concetti complessi come il principio di autoconsistenza, ma anche perché si svolge su più linee temporali e contiene varie “versioni” degli stessi personaggi. Guardarla mentre si scrolla la homepage di Facebook è vivamente sconsigliato.
Hacking to the gate
Steins;Gate, invece, è un anime di 24 episodi tratto dall’omonima visual novel sviluppata da 5pb e Nitroplus. Può contare su un’atmosfera meno tesa di quella di Dark, anche se col passare degli episodi la posta in gioco diventa sempre più alta ed è dura arrivare al finale senza sentirsi emotivamente devastati. Il protagonista è Rintarō Okabe, un sedicente “scienziato pazzo”, che adora trascorre le sue giornate conducendo degli improbabili esperimenti assieme all’amica d’infanzia Mayuri Shina e all’hacker Itaru Shida. Questa situazione, apparentemente innocua, prende una piega strana quando il gruppo realizza che una delle sue invenzioni, il microonde telefonico, è in grado di inviare delle e-mail nel passato. Okabe, inoltre, ha il vivido ricordo di eventi di cui nessun altro a memoria, tra cui la morte della brillante scienziata Kurisu Makise.
Proprio come in Dark, anche in Steins; Gate i viaggi nel tempo e i misteri assumono ben presto un ruolo centrale, anche se il modo in cui questi elementi sono gestiti è piuttosto diverso. Nonostante queste differenze, credo che i fan della serie tv dovrebbero dare almeno una possibilità all’anime. Anche Steins; Gate è disponibile su Netflix (dove presto arriverà anche il sequel Steins; Gate 0). La piattaforma ospita anche Dark.
Il lato oscuro della tecnologia: Black Mirror e Serial Experiments Lain
Chiudo questa carrellata con un paragone che a qualcuno potrebbe sembrare forzato, ma che personalmente ritengo calzante. Sebbene l’anime “Serial Experiments Lain” abbia più punti in comune con opere cyberpunk come il film “Matrix” o il libro “Neuromante” di William Gibson, trovo che non sia azzardato accostarlo anche a Black Mirror. Entrambe le serie sono incentrare sulla tecnologia, sul suo impatto sulla società e sui possibili effetti negativi derivanti dal suo utilizzo.
Black Mirror è una serie antologica, in cui ogni episodio racconta una trama autoconclusiva. Si passa da episodi più futuristici ad altri maggiormente vicini al presente, sempre mantenendo il focus sul progresso tecnologico e su come alcune innovazioni, apparentemente desiderabili, siano destinati a renderci infelici. Le prime due stagioni sono senz’altro più ciniche delle altre, ma anche alcuni degli episodi più recenti sono capaci di far provare allo spettatore una buona dose di disagio.
Il confine tra reale e digitale
Serial Experiments Lain segue l’evoluzione del rapporto della protagonista, Lain Iwakura, con il Wired, una rete di computer del tutto paragonabile a Internet. Nel corso degli episodi il suo legame con questa tecnologia diventa sempre più stretto e l’aiuta a capire di essere coinvolta in una situazione spinosa. I misteri al centro della trama sono parecchi. Perché esiste un’altra Lain? Da dove è nata? E qual è l’obiettivo del gruppo di hacker noto come Knights? Tutte queste domande non solo stimolano la curiosità dello spettatore, ma lo inducono anche a riflettere sul Wired e sulle sue similitudini con Internet. Il tema centrale, sviscerato in ogni aspetto, è la differenza tra reale e virtuale, meno netta di quanto potrebbe sembrare.
Mentre Black Mirror è disponibile su Netflix, Serial Experiments Lain non è al momento disponibile su una piattaforma di streaming. È però possibile recuperarlo in [sponsor-link id=”48″].