Secondo una nuova ricerca condotta da un gruppo di scienziati dell’Università Statale di Milano, nel lontano ‘600 il papavero da oppio veniva somministrato ai pazienti dell’Ospedale Cà Granda per via delle sue proprietà sedative. Ma non solo: i medici lo adoperavano anche per il trattamento dell’algesia, ossia la sensibilità al dolore, e in qualità di antitussivo, ovvero per trattare la tosse. La ricerca, pubblicata su Scientific Reports, è stata coordinata da Gaia Giordano, dottoranda in Medicina Traslazionale presso il laboratorio di analisi chimico-tossicologiche forensi del Dipartimento di Scienze Biomediche della Salute della Statale di Milano, e da Mirko Mattia, curatore e conservatore della Cal (Collezione Antropologica del Labanof) e del MUSA (Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, Forensi e Mediche per i Diritti Umani). Alla guida dello studio la direttrice del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), del Musa e della CAL, Cristina Cattaneo, e Domenico Di Candia, tossicologo forense presso il laboratorio di analisi chimico-tossicologiche forensi.
Lo studio in breve
Per arrivare a questi sorprendenti risultati, i ricercatori si sono concentrati su alcuni resti ossei custoditi nel Sepolcreto della Cà Granda. Questi sono stati rinvenuti durante alcuni scavi e, nella fase di analisi, sono emersi gli elementi che hanno portato alla scoperta. Ciò è stato possibile grazie all’utilizzo di tecniche innovative di archeotossicologia: questa è una disciplina che si concentra sul rilevamento di evidenze chimico-analitiche nei resti ossei. Lo scopo è quello di mostrare le pratiche terapeutiche di epoche passate. Quello che ha fatto il gruppo di studio è stato analizzare nove encefali accuratamente conservati con i loro crani di origine: qui, le analisi tossicologiche – realizzate mediante cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa triplo-quadrupolo -, hanno rilevato la presenza di morfina, noscapina, papaverina e codeina, che sono tutte molecole presenti nel papavero da oppio. In sei dei nove soggetti studiati, perciò, è emersa la presenza dei principi attivi dell’oppio.
Alcune dichiarazioni
“L’Ospedale Maggiore di Milano del 1600, noto come La Cà Granda dei milanesi, è stato uno degli ospedali più importanti e innovativi di tutto il Rinascimento e dell’Età Moderna, sia sul fronte italiano sia europeo. Forniva infatti assistenza gratuita alla popolazione povera di Milano, aveva medici e chirurghi specializzati, strette norme igienico-sanitarie e un’ampia farmacopea ospedaliera: è proprio per questo che per noi è stato importante essere parte di un progetto di ricerca multidisciplinare per lo studio degli individui riportati alla luce grazie agli scavi“, ha spiegato Gaia Giordano.
“I risultati ottenuti in questo lavoro costituiscono il primo rapporto sul rilevamento di oppio in reperti ossei archeologici. Questi dati hanno contribuito a fare maggiore chiarezza sulle terapie farmacologiche somministrate ai pazienti della Cà Granda e hanno arricchito la conoscenza della comunità scientifica riguardo alle pratiche mediche e farmacologiche della Milano del 1600“, hanno aggiunto Mirko Mattia e Lucie Biehler-Gomez, paleopatologa del LABANOF e co-autrice della pubblicazione.