Gli scienziati del Massachusets General Hospital hanno identificato un’altra persona sieropositiva, non in cura, che però non presenta più tracce del genoma dell’Hiv. È la seconda volta che succede. Dopo una donna di San Francisco, è stato il turno di un paziente messicano, proveniente dalla città di Esperanza (Santa Fe). L’intero percorso clinico del paziente, in cui si è rivelata la guarigione ‘spontanea’ dall’Hiv a livello globale, è stato successivamente documentato in un articolo sulla rivista specializzata Annals of Internal Medicine.
Il sistema immunitario bloccherebbe la replicazione del virus
Il meccanismo di azione del virus dell’immunodeficienza umana è stato descritto nel corso degli anni come una presenza subdola. È in grado di nascondersi ai farmaci utilizzati nei trattamenti e alla risposta immunitaria da essi scaturita. Il virus, infatti, effettua molteplici copie del suo genoma all’interno del dna dell’ospite. Creando un bacino utile anche alla produzione di ulteriori particelle nel corso del tempo. Per questo motivo chi viene colpito dalla patologia è costretto a seguire percorsi farmacologici a cadenza quotidiana. Come la terapia antiretrovirale che ne blocca la riproduzione seppur senza eliminarlo.
Già nel 2020, nel primo paziente originario di San Francisco affetto dall’infezione, i medici non erano riusciti a riscontrare sequenze virali intatte. Gli stessi avevano dunque teorizzato che il sistema immunitario fosse stato in grado di eliminare la presenza del virus nei serbatoi, bloccandone così la replicazione senza l’assunzione di farmaci.
L’immunologa Xu Yu spiega le conseguenze di questa guarigione dall’Hiv
Sono stati proprio questi serbatoi, insieme alle cellule T, a finire sotto osservazione da parte del team guidato dall’immunologa Xu Yu. Tra i due casi vi sarebbero molteplici affinità come riportato proprio da Yu. “Questi risultati suggeriscono che potrebbe esistere un percorso verso una cura sterilizzante nelle persone il cui sistema immunitario non riesce a contrastare l’HIV. Le cellule T, aspetto in comune tra questi due casi di controllo del virus, potrebbero guidare tale risposta. Se riuscissimo a comprendere i meccanismi immunitari alla base di questi casi, potremmo sviluppare trattamenti efficaci contro l’Aids”.
Ed è proprio su queste caratteristiche che potrebbe presto virare il trattamento della patologia, secondo Yu. “Stiamo esaminando la possibilità di introdurre questo tipo di immunità nei pazienti sottoposti a terapia con farmaci antiretrovirali attraverso la vaccinazione. L’obiettivo è quello di educare il sistema immunitario a controllare l’agente patogeno senza medicinali”.