Una delle polemiche più infuocate delle ultime settimane, riguardo ai dati della pandemia da Coronavirus, riguarda la Regione Lombardia e i famigerati numeri che avevano collocato il territorio in zona rossa. Una situazione che ha rimesso il fatidico indice Rt al centro delle attenzioni generali. Incluse quelle di Andrea Crisanti, direttore di microbiologia all’Università di Padova che boccia con parole molto dure il sistema in vigore per determinare l’andamento dell’epidemia.
La bocciatura dell’indice Rt: “Così è una presa in giro, si studi l’incidenza”
“L’indice Rt calcolato in questa maniera è una presa in giro – tuona Crisanti in un’intervista all’agenzia ‘Dire’ –. È retrospettivo, perché risale ad almeno 7 giorni prima. Sono mesi che lo dico. In questo modo i casi si fanno risalire ad un tracciamento che peraltro non funziona più“.
Il professor Crisanti aggiunge anche una potenziale modifica da apportare al sistema: “Era stata fatta una proposta diversi mesi fa, adeguando il nostro sistema a quello europeo che lavora sui dati dell’incidenza e non sull’indice Rt. Ma le Regioni si sono opposte in tutti i modi. Rt attuale è pertanto diverso da quello reale, mentre l’incidenza restituirebbe il dato corrente e corretto“.
Crisanti e i problemi di vaccino e anticorpi monoclonali
Al netto delle polemiche sull’indice Rt e il tracciamento dei contagi, Crisanti si dice anche scettico sulla strategia messa in atto per uscire dalla pandemia: “Ad oggi non esiste una soluzione. Certamente il vaccino aiuta, ma dobbiamo pensare che con le varianti, un vaccino che ha un’efficacia del 60% e la nostra capacità di vaccinare in ragione delle dosi e dei tempi a disposizione, non raggiungeremo un’immunità di gregge. Perché ci attesteremmo ad una protezione della popolazione inferiore al 40%“.
“Solo se immunizzassimo il 90% della popolazione, potremmo arrivare a un abbondante 50% di immunità. Ma questa è un’impresa che non riusciremo a fare, in tempi congrui a combattere le varianti. Né per il numero di dosi disponibili“, aggiunge Crisanti. Che vola basso anche su un altro possibile rimedio anti Covid: “Sugli anticorpi monoclonali bisogna essere molto chiari. Il primo trial di Eli Lilly ha fallito, perché ha dimostrato di non funzionare. Diverso invece il secondo trial, che prevede la somministrazione degli anticorpi nei casi di sintomi lievi o per prevenzione. Quindi l’Aifa, il cui verdetto si attende in queste ore, fa bene a valutare attentamente. Non possiamo correre il rischio di sottrarre risorse dalla sanità pubblica per una cura che può essere promettente, ma con evidenze scientifiche fondamentali“.