Anticorpi monoclonali, a Palermo
la cura è già realtà: come funziona

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In un mese abbiamo sottoposto alla terapia circa 50 pazienti all’ospedale Cervello di Palermo. I risultati sono incoraggianti. Speriamo di poter allargare presto la platea dei trattabili anche ai pazienti non fragili“. Così la dottoressa Tiziana Maniscalchi, dirigente medico del Pronto Soccorso del nosocomio siciliano, spiega come funziona il trattamento con gli anticorpi monoclonali in Sicilia.

Perché gli anticorpi monoclonali? La risposta

Uno dei motivi per cui la nostra azienda ha deciso di affidare a noi del Pronto Soccorso e alla nefrologia la possibilità dell’utilizzo degli anticorpi monoclonali è proprio questo. Perché noi siamo coloro che in assoluto hanno visto più pazienti“, sottolinea la dottoressa Maniscalchi.

Ma perché procedere con il trattamento a base di anticorpi monoclonali? “Il fine dello studio è quello di ridurre il più possibile l’ospedalizzazione per i pazienti. Chiaramente la riduzione dell’ospedalizzazione ha due fini. Il primo è un evidente miglioramento dell’outcome del paziente e dall’altra parte è chiaro che dobbiamo pensare anche a un ritorno economico. Perché un trattamento con MAb è costoso“, aggiunge. Spiegando che la somministrazione di questa terapia costa circa 2.000 euro: meno di due giorni di ricovero.

“Vantaggi per il paziente, risparmio economico”

In questo costo, però, dobbiamo considerare ciò che costa un ricovero. Parliamo di 2.000 euro a paziente per una mono-somministrazione di anticorpi monoclonali. E la somministrazione, una volta effettuata, non si deve più ripetere. Ma i ricoveri ospedalieri sono molto più onerosi. Quindi ridurre l’ospedalizzazione significa ridurre i giorni di degenza, ma anche il paziente non fragile potrebbe trovare il ritorno economico. Perché bastano due giorni di ricovero per recuperare i 2.00 euro del farmaco“, insiste la dottoressa Maniscalchi.

E da Palermo arriva l’augurio che il trattamento con anticorpi monoclonali possa presto diventare più diffuso: “Siamo convinti che non possiamo sottrarre il paziente a una terapia di questo tipo, perché i risultati li abbiamo avuti. Auspichiamo che questo tipo di studio, che per adesso è confinato ai pazienti con livelli di positività importanti, possa dare risultati talmente buoni da allargare la fascia di intervento su pazienti non necessariamente fragili“.

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