Il moltiplicarsi dei casi di violenza sessuale sulle donne, spesso giovanissime, è stato l’occasione per tirare fuori dal cassetto un vecchio cavallo di battaglia del Carroccio, la castrazione chimica.
Secondo il leader della Lega Matteo Salvini, il trattamento farmacologico a base di ormoni “potrebbe servire come dissuasione contro chi non definisco neanche bestie”, ha detto in diretta Facebook pochi giorni fa a proposito dei presunti responsabili dello stupro di gruppo perpetrato ai danni di una 19enne a Palermo lo scorso luglio.
Il vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture ha anche plaudito all’iniziativa della collega di partito Annalisa Tardino, eurodeputata e coordinatrice regionale della Lega in Sicilia, che sui social network ha lanciato una raccolta firme per chiedere l’introduzione della “castrazione chimica per stupratori e pedofili”.
Convenzione Istanbul, l’astensione della Lega
Di segno opposto le posizioni assunte a Bruxelles dagli eurodeputati della Lega, che solo pochi mesi fa si sono astenuti, insieme ai colleghi di Fratelli d’Italia, nel voto sulle due risoluzioni con cui il Parlamento Ue esortava l’Unione europea a ratificare al più presto la Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale legalmente vincolante su prevenzione e lotta alla violenza di genere e domestica.
Lega e Fratelli d’Italia, come la Turchia Erdogan
Lega e Fratelli d’Italia come la Turchia, che nel 2021 ha deciso di tirarsi fuori dal trattato adottato dal Consiglio d’Europa nel 2011 proprio a Istanbul perché – ha denunciato il presidente Recep Tayyp Erdogan – aprirebbe la strada alla “normalizzazione dell’omosessualità”.
Un ragionamento non lontano da quello brandito dai delegati della Lega e di Fratelli d’Italia per giustificare la propria astensione. Alessandra Basso, eurodeputata della Lega in seno al gruppo Identità e Democrazia, ha puntato il dito contro “la volontà di introdurre l’ideologia gender tra le righe”.
Il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni invece ha denunciato il presunto tentativo da parte delle “sinistre arcobaleno” di trasformare la convenzione “nell’ennesimo cavallo di Troia per imporre l’agenda Lgbt“.
Contro la cosiddetta “teoria gender” nelle scuole punta il dito anche la Polonia, che ha ratificato il trattato nel 2015 ma vuole revocarla perché la ritiene “dannosa”.
Sei Paesi bloccano il processo di ratifica
La Convenzione di Istanbul è entrata in vigore il primo agosto 2014, dopo esser stata ratificata da dieci Stati, inclusa l’Italia. A oggi sono sei gli Stati membri – Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia – che hanno bloccato il processo di ratifica da parte dell’Unione europea.
Cosa dice la Convenzione di Istanbul
La Convenzione di Istanbul rappresenta una pietra miliare nella lotta contro la violenza di genere e la tutela dei diritti delle donne. Sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna e definisce la violenza di genere – fisica, sessuale, psicologica ed economica – come un atto discriminatorio e una violazione dei diritti umani.
La Convenzione introduce norme vincolanti con l’obiettivo di “proteggere le donne contro ogni forma di violenza”, tra cui le molestie sessuali, lo stalking e i matrimoni forzati. Propone una serie di interventi concreti per prevenire le discriminazioni di genere, tutelare chi subisce abusi e punire i colpevoli.
Proprio la questione del “gender” – la presunta “ideologia” che negherebbe la differenza biologica tra uomini e donne – è il punto sul quale si è inesatta la polemica attorno al trattato avversato da parte dei governi dell’Europa orientale, oltreché dalle organizzazioni ultracattoliche e conservatrici.