L’indecisione delle minoranze potrebbe essere uno snodo importante per la corsa alla Casa Bianca: ecco perché
Nelle imminenti elezioni presidenziali statunitensi, il 5 novembre, l’attenzione è rivolta soprattutto a gruppi che potrebbero risultare decisivi in stati chiave, noti come swing states. Tra questi spiccano le comunità arabe e musulmane, la cui influenza risulta particolarmente rilevante in stati come il Michigan. In una corsa serrata tra Donald Trump e Kamala Harris, il peso di questi elettori si sente più che mai, specialmente in un contesto geopolitico teso a causa della guerra nella Striscia di Gaza.
Mentre le elezioni si avvicinano, il panorama politico americano resta intricato e complesso, soprattutto per gli elettori arabi e musulmani. Trump tenta di attrarre voti anche dagli ebrei americani, storicamente favorevoli ai Democratici, ma la sua storia di dichiarazioni divisive lo rende un candidato poco appetibile per la comunità araba e musulmana. Harris, d’altra parte, deve affrontare il peso di un’amministrazione Biden ritenuta troppo schierata verso Israele.
Le comunità arabe e musulmane si trovano di fronte a una scelta complessa e nessuna delle due principali opzioni appare completamente in linea con le loro aspettative. Per questi elettori, la guerra a Gaza rappresenta un tema fondamentale, e con un margine di voto ridotto nei sette stati in bilico, il loro voto potrebbe essere decisivo.
Un elettorato eterogeneo
È importante chiarire che l’elettorato arabo e musulmano non è omogeneo. Non tutti gli arabi sono musulmani, e non tutti i musulmani sono arabi. Tuttavia, a livello di demografia politica, spesso questi gruppi vengono accorpati nelle analisi. Entrambi sono infatti accomunati da preoccupazioni significative verso l’approccio degli Stati Uniti alla guerra in corso a Gaza, il che li rende una forza elettorale con interessi convergenti in questi tempi di crisi internazionale.
La diffidenza verso Trump
Donald Trump, da sempre noto per la sua retorica esplicita e polarizzante, ha nel tempo alienato una buona parte dell’elettorato musulmano. Durante il suo primo mandato, Trump ha adottato politiche ritenute da molti discriminatorie, come il famoso “Muslim Ban”, che vietava l’ingresso negli Stati Uniti a persone provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana. La decisione ha suscitato proteste a livello globale e ha lasciato un segno profondo tra le comunità musulmane negli Stati Uniti, incrementando un sentimento di sfiducia.
Trump, inoltre, ha sempre sostenuto fortemente Israele. Durante il suo mandato, trasferì l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, una mossa altamente simbolica e controversa data la disputa storica tra israeliani e palestinesi sullo status della città. Trump ha anche riconosciuto la sovranità israeliana sulle Alture del Golan, un territorio occupato da Israele dal 1967. Tali azioni, sebbene abbiano solidificato il supporto di parte della comunità ebraica statunitense, hanno alienato ulteriormente l’elettorato arabo e musulmano, in particolare quello di origine palestinese.
Un tentativo di riavvicinamento
Nonostante la storia di politiche e dichiarazioni divisive, Trump ha recentemente cercato di avvicinarsi nuovamente all’elettorato arabo e musulmano. In un’intervista ad Al Arabiya, rete televisiva in lingua araba, ha dichiarato di voler “mettere presto fine alla guerra” una volta entrato in carica. Durante un comizio a Novi, in Michigan, ha persino invitato sul palco esponenti della comunità araba e musulmana che hanno espresso il loro supporto. A sostenere Trump sono stati anche Amer Ghalib, sindaco di Hamtramck (una cittadina dove il 40% dei residenti è nato fuori dagli Stati Uniti) e Bill Bazzi, sindaco di Dearborn Heights e di origini libanesi.
Tuttavia, le dichiarazioni di Trump, benché mirate, sono accolte con diffidenza. Molti elettori arabi e musulmani ritengono che il suo sostegno per Israele sia troppo radicato per poter realmente rispondere alle loro preoccupazioni. Le sue parole sulla fine della guerra, per alcuni, suonano più come una strategia elettorale che una vera promessa di cambiamento.
Il dilemma di Kamala Harris
Dall’altro lato, Kamala Harris, che rappresenta il Partito Democratico come candidata alla presidenza, si trova a fronteggiare una situazione complicata. Storicamente, le comunità arabe e musulmane negli Stati Uniti si sono schierate in larga misura con i Democratici, attratte da posizioni più inclusive su immigrazione e diritti civili. Tuttavia, il forte appoggio di Joe Biden e della sua amministrazione a Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ha causato disillusione. La continuità dell’aiuto militare statunitense a Israele, nonostante le notizie di morti civili nella Striscia di Gaza, ha fatto sì che Harris perdesse parte del sostegno da parte di queste comunità.
La vicenda è culminata in manifestazioni pubbliche di dissenso: ad Ann Arbor, durante un comizio, alcuni manifestanti hanno interrotto Harris con slogan critici verso il sostegno americano a Israele. La risposta di Harris, che ha cercato di mostrare empatia verso i manifestanti, sottolineando la volontà di vedere la guerra terminare presto, non è sembrata sufficiente a rassicurare gli elettori più scettici.
Il ruolo di gruppi e organizzazioni arabe e musulmane
La frustrazione nei confronti dei due candidati principali ha portato alcune organizzazioni rappresentative delle comunità arabe e musulmane a prendere una posizione neutrale o di protesta. Il movimento “Uncommitted”, ad esempio, ha invitato i suoi membri a non sostenere né Harris né Trump, pur scoraggiando il voto per altri candidati minori per evitare di favorire Trump. Anche l’Arab American Political Action Committee ha scelto di non appoggiare apertamente nessuno dei due, in risposta alla percepita mancanza di empatia e azioni concrete verso la questione palestinese.
Il Michigan come campo di battaglia decisivo
Uno degli stati dove l’impatto dell’elettorato arabo e musulmano potrebbe rivelarsi cruciale è il Michigan, che ospita circa 300.000 persone di origine mediorientale. Questo stato, uno dei sette in bilico, ha visto nel tempo un massiccio supporto alla causa democratica da parte di comunità arabe, ma la situazione potrebbe cambiare. Molti elettori arabi e musulmani stanno riconsiderando la loro fedeltà al Partito Democratico, sentendosi traditi dalle politiche di Biden e dalle dichiarazioni di Harris.
L’incertezza su chi sarà il prossimo presidente rende il Michigan un vero e proprio ago della bilancia. Qui, il malcontento verso il Partito Democratico potrebbe fare la differenza in una situazione di quasi parità nei sondaggi.
Divisi tra speranza e pragmatismo
Secondo l’Arab American Institute, la comunità arabo-americana è più divisa che mai: il 42% si dichiara intenzionato a votare per Trump, mentre il 41% per Harris. Il restante 12% preferisce un candidato terzo, come Jill Stein dei Verdi, pur sapendo che le sue chance di vittoria sono pressoché nulle. Per questa comunità, la questione della guerra a Gaza e l’economia sono i fattori chiave che orienteranno il voto.