L’Italia è una Repubblica antifascista, come ben esplicitato dalla Costituzione. Nella XII disposizione transitoria e finale della legge fondamentale della Penisola si legge che “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Altre due leggi, Scelba (20 giugno 1952) e Mancino (25 giugno 1993), hanno ribadito con forza questo punto e chiarito le casistiche nelle quali la legge punisce l’apologia del fascismo, i tentativi di riorganizzare il partito e ogni atto di matrice fascista. Appare dunque chiaro che l’antifascismo rappresenta un valore importante per l’Italia nella sua globalità, che dev’essere sempre difeso e mai condannato. Eppure ci sono stati alcuni casi in cui i rappresentanti delle istituzioni l’hanno fatto passare alla stregua di uno slogan sgradito e sbagliato.
“Viva l’Italia antifascista”
L’episodio più recente si è verificato durante la Prima della Scala 2023, quando il giornalista Marco Vizzardelli ha affermato “Viva l’Italia antifascista” al termine dell’Inno di Mameli. Una dichiarazione che non avrebbe dovuto suscitare alcun clamore, perché “lapalissiana”, come ricordato anche dal protagonista della vicenda nel corso di un’intervista all’Ansa. “Ho detto quella frase con calma e tranquillità. Mi è venuta di getto, è stato lo sfociare logico di tutta una riflessione precedente. Ma ho detto una cosa lapalissiana, non mi aspettavo proprio tutto questo can-can”, ha dichiarato Vizzardelli, che durante il primo intervallo dello spettacolo è stato identificato dalla Digos, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
“L’ho buttata sul ridere, ho detto che il vero reato sarebbe stato dire ‘viva l’Italia fascista’, a quel punto potevano legarmi e portarmi via. Si sono messi a ridere anche loro e mi hanno dato ragione“, ha raccontato il giornalista. Ma se gli agenti hanno dato ragione a Vizzardelli, pare evidente che li ha mandati a identificarlo la pensi in modo molto diverso.
Tra chi non ha digerito l’esternazione del loggionista c’è Matteo Salvini, vicepremier, leader della Lega e ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili. “Se uno viene alla Scala a urlare o agli ambrogino a fischiare ha un problema”, ha commentato. “Alla Scala si viene per ascoltare, non per urlare”, ha aggiunto Salvini.
La lettera della preside del liceo Leonardo Da Vinci di Firenze
Lo scorso febbraio si sono verificati degli episodi di violenza davanti al liceo Michelangiolo di Firenze, dove due studenti della scuola sono stati presi a calci e pugni da sei giovani appartenenti all’organizzazione di destra Azione studentesca. In seguito a quanto avvenuto, Annalisa Savino, preside del liceo Leonardo Da Vinci di Firenze, ha scritto una lettera agli studenti, nella quale ha ricordato le origini del fascismo. “Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti”.
La dirigente scolastica ha aggiunto che “chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così”.
Parole che riflettono bene lo spirito antifascista dell’Italia, ma che non sono piaciute al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Nel corso di un intervento a Mattino 5 ha parlato di “una lettera del tutto impropria”.
“Mi è dispiaciuto leggerla, non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il nazismo o con il nazismo. Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia più posto nelle scuole; se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure”, ha poi aggiunto Valditara.
La Russa: “Nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”
In occasione di un’intervista a Repubblica rilasciata pochi giorni prima del 25 aprile, l’anniversario della liberazione d’Italia, il presidente del Senato Ignazio La Russa ha dichiarato che “nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”. Un’affermazione errata, come già dimostrato all’inizio dell’articolo.
Negli stessi giorni, Lucio Malan, capogruppo al senato di Fratelli d’Italia, ha fatto una dichiarazione simile durante la votazione di due mozioni sul 25 aprile, una delle quali criticata dalle forze dell’opposizione per via dell’assenza della parola “antifascismo” nel testo. “Dite che non votate la nostra mozione perché non c’è la parola antifascismo: ma c’è scritto che condanniamo tutti i totalitarismi, siamo contro il fascismo, quindi c’è, è la stessa cosa”, ha osservato il senatore. “Secondo questo principio, i parlamentari costituenti non avrebbero dovuto votare la Costituzione perché in quel testo non c’è la parola ‘antifascista’”, ha aggiunto Malan. In effetti, il termine non compare mai nel testo in modo esplicito, il che però non rende la legge fondamentale meno contraria al fascismo.