Era affetta da una malattia irreversibile e da un anno chiedeva di poter accedere al suicidio medicalmente assistito. Lo ha fatto prima bussando alle porte dell’Asl di competenza, poi, dopo un nulla di fatto, rivolgendosi al Tribunale di Trieste, che ha ordinato l’avvio di verifiche. Finalmente lo scorso 28 novembre “Anna”, nome fittizio, se n’è potuta andare nella propria casa dopo l’autosomministrazione di un farmaco letale fornito dal Sistema sanitario nazionale, primo caso in assoluto in Italia.
La donna, 55 anni, è di fatto la prima persona ad aver “avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico a seguito dell’ordine di un giudice”, spiega Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che ha seguito il caso e da anni è in prima linea per il riconoscimento della libertà di scelta. Si tratta dunque del primo caso in cui la procedura prevista dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 2019 sul caso “Cappato-Antoniani” viene applicata con “l’assistenza completa da parte del Ssn: il farmaco, la strumentazione necessaria e il personale sanitario”.
L’ultimo messaggio di Anna: “Oggi sono libera”
La donna, che ha chiesto l’anonimato, nell‘ultimo messaggio ha ribadito di aver scelto liberamente: “Ho amato con tutta me stessa la vita, i miei cari e con la stessa intensità ho resistito in un corpo non più mio. Ho però deciso di porre fine alle sofferenze che provo perché oramai sono davvero intollerabili. Voglio ringraziare chi mi ha aiutata a fare rispettare la mia volontà, la mia famiglia che mi è stata vicina fino all’ultimo. Io oggi sono libera, sarebbe stata una vera tortura non avere la libertà di poter scegliere”.
La 55enne era affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva: una diagnosi ricevuta nel 2010. Come evidenziavano i referti medici – e ha ricostruito l’associazione Coscioni – la donna triestina si esprimeva con voce flebile e ipofonica, ma era vigile e lucida, ed era completamente dipendente dall’assistenza. “Anna’ è la prima persona malata che ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così anche la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio nelle ore di sonno notturno”, si legge in una nota.
Si tratta della terza persona, seguita dall’associazione Luca Coscioni, ad accedere alla morte volontaria assistita in Italia, la quinta ad aver avuto il via libera. La prima in Friuli Venezia Giulia.
Il caso di Anna
Il 4 novembre 2022 aveva inviato all’Azienda sanitaria la richiesta di verifica delle sue condizioni per accedere alla morte assistita. Dopo mesi di attesa senza risposte, aveva depositato ai carabinieri una denuncia per rifiuto/omissione d’atti d’ufficio nei confronti dell’Asl e presentato un ricorso d’urgenza dinanzi al giudice civile. Il tribunale di Trieste aveva quindi chiesto che l’Azienda disponesse verifiche e accertamenti sul caso. A settembre era quindi arrivato il via libera dalla Commissione medica multidisciplinare per accedere al suicidio assistito.
“Il farmaco letale e la strumentazione sono stati forniti dal Ssn e un medico individuato dall’azienda sanitaria, su base volontaria, ha provveduto a supportare l’azione richiesta nell’ambito e con i limiti previsti dalla ordinanza cautelare pronunciata dal Tribunale di Trieste il 4 luglio e quindi senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta di esclusiva spettanza della donna“, spiega ancora l’associazione.
Suicidio medicalmente assistito, i requisiti per accedere
In base alla sentenza della Consulta sul caso di Dj Fabo – chiamata a esprimersi sull’aiuto fornito da Cappato a Fabiano Antoniani – in Italia è possibile richiedere il suicidio medicalmente assistito, ossia l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico, in presenza di quattro requisiti: la persona deve essere pienamente capace di intendere e volere, affetta da una patologia irreversibile, portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche e sopravvivere grazie a trattamenti di sostegno vitale.
Attraverso il suicidio assistito, una persona pone fine alla propria vita in modo consapevole mediante l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci con l’assistenza di un medico o di un’altra figura che rende disponibili le sostanze. È dunque cosa diversa dall’eutanasia. Quest’ultima infatti non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta mentre richiede l’azione diretta di un medico, che somministra un farmaco di regola per via endovenosa.
Fine vita, 2 italiani su 3 a favore della libertà si scelta
“Il diritto di scelta alla fine della vita si sta faticosamente affermando nonostante ostruzionismi e resistenze ideologiche che sono sempre più lontane dal sentire popolare”, commenta Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che però mette in guardia da quanti oggi chiedono una legge sul fine vita. “Molti lo dicono perché vogliono impedire che accada di nuovo. Sognano una legge per contrastare ciò che abbiamo conquistato con le disobbedienze civili”.
Secondo il Censis, il 74% degli italiani si dice a favore della libertà di scelta. Una posizione che è indipendente dall’orientamento politico: lo è l’80% degli elettori di Fratelli d’Italia, il 79% della Lega, 86% di Forza Italia, 83% del Movimento 5 stelle e l’88% del Partito democratico.
Cappato: “Servono tempi e procedure certi”
“Ora occorre lavorare sui tempi. Non deve più essere consentito di far attendere quasi un anno fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano con il rischio di perdere le ultime forze necessarie per l’autosomministrazione del farmaco letale”, spiega ancora Cappato. Va in questo senso la campagna Liberi Subito per spingere le regioni ad approvare una legge che introduca tempi e procedure certi per accedere al suicidio assisto.
Restano i casi di chi ancora è costretto a viaggiare fino in Svizzera per morire. Ultimo in ordine di tempo quello di Sibilla Barbieri, la regista e attrice romana malata oncologica terminale che lo scorso novembre ha deciso di recarsi all’estero – accompagnata dal figlio e dall’ex senatore radicale Marco Perduca – dopo il diniego da parte dell’Asl dell’aiuto medico alla morte volontaria perché, secondo l’équipe medica, alla donna mancava il requisito della dipendenza da trattamento di sostegno vitale. Una tesi rigettata dall’Associazione Luca Coscioni, secondo cui Barbieri “era dipendente da ossigenoterapia e da farmaci per il dolore che, se interrotti, avrebbero portato velocemente a una morte dolorosa”.