C’è chi sostiene le ragioni del Sì, chi è convintamente contrario e chi preferisce una sorta di ‘neutralità’. È sostanzialmente questo lo schieramento dei partiti sul voto dei cinque referendum sulla Giustizia che si terranno il 12 giugno. Giorno in cui si sceglieranno anche le nuove amministrazioni di 978 Comuni. Ma come potrebbe andare a finire dalle ore 23.01 della prossima domenica?
Referendum Giustizia, la forma incognita sul quorum
I cinque quesiti referendari in tema di giustizia mirano a cancellare alcune norme dell’ordinamento giudiziario. Inizialmente ne erano stati presentati sei, ma la Corte costituzionale non ha ammesso il quesito che prevedeva la responsabilità civile diretta dei magistrati (oltre a non ammettere i referendum sulla legalizzazione della coltivazione della cannabis e sull’eutanasia). Si voterà invece sull’abrogazione della legge Severino, limitazione delle misure cautelari, separazione delle funzioni dei magistrati, partecipazione dei membri laici a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari e abrogazione di norme in materia di elezioni dei componenti togati del Csm.
Ma a parte lo schieramento dei partiti, esiste prima di tutto una condizione necessaria e indispensabile: raggiungere il quorum. Ossia che domenica 12 giugno alle urne dovrà recarsi almeno il 50% più uno degli elettori. Se la soglia fissata non venisse superata, i referendum abrogativi verrebbero dichiarati nulli.
I partiti per il Sì (divisi al loro interno)
In prima fila per il Sì ci sono Lega e Radicali, promotori dei referendum e quindi forti sostenitori. Entrambi i partiti hanno lamentato una sorta di “censura” da parte dei media, chiedendo per questo l’intervento del Presidente della Repubblica (Matteo Salvini soprattutto). Dopo le difficoltà riscontrate nella scelta dei candidati per le elezioni Comunali, il centrodestra ancora una volta si spacca anche sui referendum e non si presenta compatto alle urne. Forza Italia è a favore di tutti e cinque i quesiti. Silvio Berlusconi li ha definiti “fondamentali”.
Fratelli d’Italia, invece, ha deciso di appoggiare il Sì su soli tre quesiti (separazione delle funzioni dei magistrati o separazione delle carriere, consigli giudiziari e cancellazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del Csm). A favore anche Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda. E si sono invece schierati per il Sì, anche se non su tutti e cinque i quesiti, diversi esponenti del Pd. Come il costituzionalista Stefano Ceccanti, Enrico Morando, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, l’ex capogruppo Andrea Marcucci.
I partiti per il No e quelli neutrali
Chi è schierato convintamente per il No è il Movimento 5 Stelle, che è irremovibile e che teme principalmente il quesito che mira ad abolire la legge Severino. Più ballerina la posizione del partito di Giorgia Meloni, favorevole a tre quesiti ma contrario agli altri due (abolizione della legge Severino e limitazione della custodia cautelare). C’è anche chi ha deciso di lasciare la libertà di voto. Questo è il Partito Democratico. Anche se il segretario Enrico Letta non ha nascosto le sue perplessità sui quesiti: “Una vittoria dei Sì aprirebbe più problemi di quanti ne risolverebbe”, ha spiegato. Letta ha fatto sapere che è voterà cinque No perché “riforme così complesse vanno fatte in Parlamento”.
Referendum sulla Giustizia: il significato politico del voto
Attenzione, però. Se da una parte è vero che il mancato raggiungimento del quorum segnerà, di fatto, una sconfitta politica per i sostenitori del Sì, è anche altrettanto vero che i promotori del referendum sulla Giustizia analizzeranno in ogni caso le percentuali dei voti a favore della propria proposta per poterne cavalcare comunque un successo ‘morale’. Per la separazione delle carriere tra pm e giudici, la valutazione degli avvocati sui magistrati e la riforma dell’elezione del Csm si va verso un plebiscito di Sì, mentre per l’incandidabilità dopo la condanna e custodia cautelare durante le indagini potrebbe prevarrebbe (seppure di poco) il No. Se fossero quindi confermate le tendenze di questi ultimi due quesiti, il risultato si rivelerebbe un ‘boomerang’ per coloro che avevano raccolto le firme nella scorsa estate. Salvini in primis.