Al Senato c’è stato il primo voto finale sulla riforma che introduce il “premierato”, ovvero l’elezione diretta del premier
Nel tardo pomeriggio del 18 giugno, il Senato ha approvato la riforma del premierato con 109 voti favorevoli, 77 contrari e un astenuto. Ora il testo passa all’esame della Camera.
La mattina di mercoledì 24 aprile, la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha completato l’esame del disegno di legge proposto dal governo Meloni per modificare la Costituzione, introducendo l’elezione diretta del presidente del Consiglio (il cosiddetto “premierato”).
I lavori della Commissione sono durati cinque mesi, durante i quali sono stati presentati migliaia di emendamenti dai vari partiti per modificare la proposta del governo. Alcuni di questi emendamenti sono stati approvati, cambiando il testo della riforma ma mantenendo il suo obiettivo principale.
Le modifiche introdotte nella riforma costituzionale del “premierato”
Il percorso per modificare la Costituzione è ancora lungo: il disegno di legge deve essere approvato dall’aula del Senato, poi passerà alla Camera per essere esaminato e approvato. Tre mesi dopo ciascuna delle due approvazioni, il testo dovrà essere nuovamente approvato con lo stesso contenuto sia dal Senato che dalla Camera.
Se nella seconda votazione entrambe le camere approvano il testo con una maggioranza dei due terzi, la riforma è definitivamente approvata; altrimenti, può essere sottoposta a referendum popolare per la conferma. Vediamo ora le modifiche introdotte nella proposta di riforma costituzionale sul “premierato” (qui è possibile confrontare il testo presentato dal governo con le modifiche approvate in commissione).
Secondo l’emendamento approvato in Commissione, se una delle due Camere revoca la fiducia al presidente del Consiglio, le Camere vengono sciolte. Se il presidente del Consiglio si dimette, ha sette giorni per chiedere al presidente della Repubblica di sciogliere le Camere.
Se il presidente del Consiglio non esercita questa opzione per vari motivi (inclusa morte o “impedimento permanente”), il presidente della Repubblica può incaricare il presidente del Consiglio dimissionario o un “altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio” di formare un nuovo governo. Tuttavia, questo può avvenire solo una volta per legislatura.
Questa norma, conosciuta come “anti-ribaltoni”, mira a prevenire la formazione di governi sostenuti da maggioranze parlamentari molto diverse all’interno della stessa legislatura.
La riforma costituzionale prevede l’eliminazione del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, che conferisce al presidente della Repubblica il potere di nominare senatori a vita.
Questa proposta non è stata modificata in commissione, ma il titolo dell’articolo è stato cambiato da “Modifica all’articolo 59 della Costituzione” a “Abrogazione del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione”.
In Commissione Affari Costituzionali è stato invece approvato un emendamento per modificare l’articolo 83 della Costituzione, che regola l’elezione del presidente della Repubblica.
Attualmente, il capo dello Stato è eletto dal Parlamento in seduta comune, con voto segreto dei deputati e dei senatori, insieme a 58 delegati regionali. L’elezione richiede una maggioranza dei due terzi dell’assemblea, ma dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, ovvero metà più uno dei membri dell’assemblea. L’emendamento approvato propone di sostituire “dopo il terzo scrutinio” con “dopo il sesto scrutinio”.
Sono state introdotte novità anche per il “semestre bianco”, regolato dall’articolo 88 della Costituzione. Attualmente, il presidente della Repubblica non può sciogliere le camere negli ultimi sei mesi del suo mandato, a meno che questi non coincidano “in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura”. Un emendamento propone di sostituire questa clausola con “salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto”.
La riforma costituzionale chiede anche di modificare un altro punto dell’articolo 88. Attualmente, “il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. La proposta è di eliminare la possibilità di sciogliere una sola delle due Camere.
Secondo l’articolo 89 della Costituzione, “nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità”. Inoltre, “gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal presidente del Consiglio dei ministri”.
La Commissione Affari Costituzionali ha approvato un emendamento per modificare questo articolo, escludendo dalla controfirma alcuni atti, tra cui la nomina del presidente del Consiglio e dei giudici della Corte Costituzionale, la concessione della grazia, il decreto per indire le elezioni e i referendum, e il rinvio delle leggi al Parlamento.
Le due norme transitorie contenute nella proposta di riforma costituzionale non sono state modificate dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato.
I senatori a vita attualmente in carica manterranno il loro seggio al Senato. La riforma costituzionale, se approvata, entrerà in vigore dalla prossima legislatura. Quindi, a meno di uno scioglimento anticipato delle Camere, entrerà in vigore nel 2027.