Nord e Sud: aumenta il divario economico e sociale

Il Rapporto SVIMEZ 2023 presenta nuovamente il problema storico di uno sviluppo economico e sociale tra Nord e Sud a due velocità

La crisi causata dal Covid-19, aggravata dal conflitto in Ucraina, ha aumentato il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud Italia.

La pandemia ha provocato gravi perdite in tutto il paese, ma il Meridione è stato colpito particolarmente duro. Aziende, lavoratori, liberi professionisti e giovani hanno affrontato una crisi che non ha risparmiato nessuno.

Attualmente, la ripresa è sostenuta dai fondi del Recovery Fund, ma deve considerare una situazione di partenza che resta molto difficile.

Il divario tra Nord e Sud: una storia senza fine

Il rapporto annuale 2021 di Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, offre informazioni cruciali sulla situazione economica del Sud Italia: il rimbalzo del PIL post-Covid è evidente sia al Nord (+6,8%) che al Sud (+5%), ma con una differenza significativa dovuta a investimenti e export. Anche se la crescita del PIL è positiva, la crisi ha aumentato la povertà assoluta.

Tra le due milioni di famiglie italiane povere, circa 775mila sono al Sud; su 5,6 milioni di individui in povertà, 2,3 milioni sono nel Mezzogiorno. Percentualmente, la povertà è più alta al Sud e cresciuta durante la pandemia: 9,4% nel 2020 rispetto all’8,6% nel 2019.

Aumenta il divario economico e sociale tra Nord e Sud, cosa emerge dalla ricerca
Aumenta il divario economico e sociale tra Nord e Sud, cosa emerge dalla ricerca – Wikimedia Commons @ Wolfgang Moroder – Newsby.it

 

Il rapporto annuale Svimez 2022 rileva l’impatto economico significativo della guerra in Ucraina, che ha ampliato il divario di crescita tra Nord e Sud.

Secondo le stime, il PIL del Mezzogiorno dovrebbe essere cresciuto del 2,9% nel 2022, rispetto al 4,0% del Centro-Nord. L’aumento dei prezzi energetici e alimentari potrebbe far crescere la povertà assoluta con forti differenze territoriali: +2,8% nel Mezzogiorno contro lo 0,3% del Nord. Per il 2023, Svimez prevede una contrazione del PIL dello 0,4% nel Mezzogiorno, con una ripresa prevista solo nel 2024.

Si è parlato molto del lavoro e delle assunzioni nel Meridione, soprattutto riguardo ai giovani che spesso emigrano, lasciando un vuoto produttivo significativo.

Tuttavia, la situazione generale rimane invariata. Il tasso di disoccupazione al Sud è molto più alto rispetto al Nord e la crisi ha ulteriormente aggravato il rapporto tra il numero di individui e la forza lavoro. Nel 2020, il tasso di disoccupazione al Nord era del 5,8%, mentre al Sud era del 15,9%, quasi tre volte tanto.

Il rapporto evidenzia anche le disparità di genere nell’occupazione. Il tasso di occupazione delle donne laureate nel Mezzogiorno è del 44%, contro il 70% al Nord. Inoltre, l’occupazione nella pubblica amministrazione è diminuita drasticamente al Sud, con una riduzione del 27% tra il 2010 e il 2019, rispetto al 18,6% del Nord.

Anche le retribuzioni stentano a crescere, influenzando negativamente i consumi. Svimez sottolinea che la debolezza dei consumi è causata da una dinamica salariale stagnante (circa il 15% dei dipendenti al Sud è sottopagato, contro l’8,4% del Centro-Nord) e da un tasso di disoccupazione elevato e in aumento rispetto al periodo pre-Covid.

Infine, è importante approfondire la situazione dei giovani nel mercato del lavoro. Il dato sui NEET nel Sud Italia è particolarmente preoccupante. Questo indicatore si riferisce ai giovani sotto i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione.

Nel 2020, il 36% dei giovani nel Mezzogiorno rientrava in questa categoria. In altre parole, più di un giovane su tre al Sud non è impegnato in attività formative o lavorative.

Un primo tentativo di supporto al Sud Italia risale all’inizio del Novecento con una riforma dell’imposta fondiaria, mirata a favorire la realizzazione di opere pubbliche nelle regioni più povere, stimolando l’industrializzazione in Basilicata e Calabria. Tuttavia, le agevolazioni previste si sono rivelate insufficienti ed inefficaci: i progetti ambiziosi non hanno trovato una concreta realizzazione.

Ciò è dovuto al fatto che la politica non prestava ancora la dovuta attenzione alla Questione meridionale. Inoltre, l’espansionismo militare durante il conflitto mondiale ha ulteriormente penalizzato il Sud, poiché il finanziamento dell’industria militare, concentrata al Nord, avveniva attraverso le tasse di tutti i cittadini italiani, causando un trasferimento di ricchezza dal Sud al Nord.

Un secondo tentativo per migliorare la situazione del Sud Italia è stato l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno dopo la Seconda guerra mondiale. L’obiettivo era affiancare all’intervento ordinario dello Stato un’azione straordinaria, creando un ente con grande autonomia decisionale e progettuale.

Durante i suoi 40 anni di operato, fino al 1982, la Cassa ha permesso la progettazione e il finanziamento di grandi infrastrutture. Tuttavia, le condizioni economiche del Sud non sono migliorate significativamente: secondo Daniele e Malanima (2011), il PIL pro capite del Sud, rispetto a quello del Nord, è passato solo da 53 a 60.

Diversi autori hanno evidenziato come la Cassa sia diventata, nel tempo, uno strumento per distribuire sussidi, favorendo rapporti clientelari tra politici e cittadini.

Dal 1992, sono stati introdotti altri strumenti, come i contratti d’area e i patti territoriali. I contratti d’area miravano a creare nuove attività in zone con crisi occupazionale, mentre i patti territoriali cercavano di migliorare infrastrutture e servizi tramite investimenti privati.

Tuttavia, queste iniziative non hanno raggiunto i risultati sperati. Negli anni ‘90, il PIL pro capite del Sud è diminuito dal 60% al 56% di quello settentrionale. Questa situazione è stata aggravata anche dalla gestione inefficace e inefficiente delle risorse da parte della classe dirigente dell’epoca.

La più grande sfida del Programma nazionale di ripresa e resilienza sarà quella di assorbire, programmare e implementare le risorse a disposizione. Un compito arduo, soprattutto considerando che gli enti meridionali dovranno gestire circa 20,5 miliardi di euro, di cui la metà nel biennio 2024/2025.

Tale missione richiede un enorme efficientamento della macchina amministrativa, con un impiego notevole di risorse umane e finanziarie, tanto nel pubblico quanto nel privato. Grazie anche ai contributi e al ruolo degli strumenti di cui sopra, il quadro di riferimento iniziale deve prendere una rotta differente, volta a rilanciare un territorio, quello del Mezzogiorno, che negli anni ha subito un crescente divario dalle regioni del Nord.

Se è vero che il Sud è ricco di risorse, sia come capitale che come lavoro, è altresì vero che ad oggi, come affermava Goethe, il Nord ha “un grosso magnete che irresistibilmente attrae indietro”.

Mai come oggi, le regioni del Sud hanno la possibilità di ripartire, e di dare slancio all’economia delle imprese e del settore pubblico nel Meridione, per ridurre un divario, quello con il Nord, che da anni caratterizza anche le classi sociali di riferimento.

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