La scelta è consentita dalla legge, però può creare delle ambiguità quando si verificano dei casi di omonimia
“Chiamatemi Ismaele” si legge nella primissima pagina di Moby Dick, capolavoro di Herman Melville che ha ottenuto la giusta notorietà solo dopo la morte del suo autore. La premier Meloni ha quasi citato il celebre incipit pochi giorni fa quando ha invitato gli elettori a scrivere solamente il suo nome, Giorgia, sulla scheda elettorale alle prossime elezioni europee. “Se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe che lo faceste scrivendo sulla scheda semplicemente Giorgia. Perché io sarò sempre solo una di voi”.
Nell’invito all’uso del nome c’è un intento comunicativo chiarissimo, che si inserisce in una strategia che Meloni porta avanti ormai da anni. Il suo obiettivo è accorciare (se non addirittura azzerare) la distanza che la separa dalle persone comuni, proporsi come loro alleata e far capire di avere a cuore le loro stesse battaglie. Non è la prima a farlo e non sarà neanche l’ultima, ma i consensi ottenuti dimostrano che in questo momento nessuno è più bravo di lei ad arrivare alla pancia di un’ampia porzione dell’elettorato (perlomeno in Italia).
La scelta di Meloni è legittima?
La scelta di Giorgia Meloni non è priva di precedenti, soprattutto perché, come spiegato dal ministro Francesco Lollobrigida, “C’è la possibilità nelle elezioni di ogni tipo di dare all’elettore la scelta se mettere il nome per esteso oppure semplificarlo quando è chiarito in fase di presentazione di candidatura come è sostituibile il nome”. Inoltre, l’articolo 69 del testo unico per l’elezione della Camera sottolinea che “la validità dei voti contenuti nella scheda deve essere ammessa ogniqualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore”.
La scelta di Meloni non è quindi irregolare, ma potrebbe creare ambiguità in eventuali casi di omonimia, come già avvenuto in passato nel corso di alcune elezioni. È poco probabile che ciò accada nel caso di Elly Schlein, che ha senz’altro un nome meno comune rispetto alla leader di Fratelli d’Italia. Il suo, in realtà, è uno pseudonimo, perché all’anagrafe è Elena Ethel Schlein. La formula “[Nome Cognome] detto [Soprannome/Nome di battesimo/Nomignolo/Altro]” serve proprio a intercettare in modo più efficace la volontà dell’elettore.
Altri politici che hanno usato il nome (o un soprannome)
Per capire meglio la questione può essere utile fare qualche esempio. Il vero nome di Pannella era Giacinto (a causa di un errore burocratico commesso all’anagrafe), ma tutti lo conoscevano come Marco e quindi sulla scheda elettorale poteva essere usato senza problemi questo “soprannome”. Lo stesso vale per “Giuseppe Sala detto Beppe”. La mancanza di uno pseudonimo può complicare la vita ha chi ha un nome poco comune ed è questo il caso di Jas Gawronski, eletto europarlamentare e senatore dal 1979 al 2009, costretto a competere con un cognome di origine viennese difficile da ricordare persino per il suo amico Gianni Agnelli.
Nel 2011 il calciatore brasiliano Jarbas Faustino si è candidato alle elezioni Comunali di Napoli e sulle liste si è presentò con il suo alias “Cané”, ben più noto del suo nome reale. La popolarità però non lo aiutò a ottenere più di 91 voti. Diverso il caso di Giovanni Luigi D’Avanzo, chiamato Ronaldo per via della sua somiglianza con l’ex giocatore dell’Inter. In alcuni casi la dicitura “detto x” è stata usata per prevenire eventuali voti annullati a causa degli errori ortografici (Laura D’Incalci detta Dincalci, per esempio).