Migranti, l’Ue punta a trovare un accordo

Si torna a parlare di migranti. Con l’estate che ormai ha preso il sopravvento, a Lussemburgo, dove si tiene la riunione dei ministri dell’Interno, la Commissione e la presidenza di turno dell’Unione europea puntano a trovare un primo accordo tra gli Stati sul Patto per le migrazioni e l’asilo. Come accade ogni anno, e come in realtà si osserva da mesi, la crisi migratoria è tornata un argomento caldo. Tuttavia, dai fatti di Cutro, dove si sono registrati ufficialmente 94 morti, oltre a un numero imprecisato di dispersi, la questione non è mai passata in secondo piano. Sulla missione odierna è intervenuta Ylva Johansson, commissaria agli Affari interni, che lo scorso lunedì si era mostrata ottimista. Diversamente, i diplomatici e i funzionari degli altri Paesi si sono mostrati più prudenti sulla questione.

“Se mi chiedete come andrà posso solo tirare a indovinare, magari su delle basi, ma comunque posso solo indovinare. E vi dico che la probabilità che venga raggiunto un accordo è 50-50. Ho sentito la Commissione più ottimista ed è giusto cosi’. Ma saranno direttamente i ministri a decidere per i propri Stati perché il dossier è molto delicato. Ovviamente non aspettatevi una fumata bianca alle 10, ci vorrà sicuramente del tempo, ma ci sono delle chance per riuscirci. Anche io sono ottimista”, ha dichiarato un funzionario.

Le basi dell’accordo

Durante la presidenza svedese, che ha guidato i negoziati degli ultimi mesi, “sono state poste le basi per trovare un terreno comune, seppur davvero molto esteso. E per riuscirci è stato inevitabile affiancare all’obbligo di solidarietà, ma non obbligo di ricollocamenti, la dimensione esterna delle migrazioni. Per affrontare la questione a livello più ampio“, ha spiegato il funzionario.

Sbarco di un gruppo di migranti
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Con tutte le richieste del caso, e col fine di accontentare il maggior numero di Paesi, se si raggiungerà un’accordo questo non sarà certo all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. “In tutto il processo siamo stati molto chiari: il voto finale sarà a maggioranza qualificata. È l’unico modo per aver un accordo. Se dovessimo cercare l’unanimità non ce la faremmo mai ad approvarlo, quindi usiamo quello che i trattati ci permettono e voteremo a maggioranza qualificata“, ha poi chiarito il rappresentante. Che ha poi aggiunto: “Ovviamente dobbiamo calcolare la maggioranza qualificata, ora non so se ci sia, ma sulla base dell’animo in stanza, faremo i calcoli per vedere se procedere con la votazione”. 

Come già noto, oltre a qualche astensione che potrebbe presentarsi, Polonia e Ungheria saranno quasi certamente contrari, dato le loro posizioni. Per arrivare ad una maggioranza, infatti, almeno 15 Stati – pari al 55% – dovranno votare l’accordo, che equivalgono al 65% della popolazione totale.

La questione Italia

Non è chiaro come voterà l’Italia. Come spiegato da un diplomatico europeo, “la maggioranza sarebbe possibile, ma non auspicabile”, senza l’Italia. Secondo gli Stati membri frontalieri, quindi Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta, il negoziato non può prescindere dall’accordo dei Paesi che sono maggiormente toccati. Questo perché, nonostante la logica maggioritaria possa essere formalmente applicata, questa riforma avrebbe un impatto particolare sugli Stati membri frontalieri, e quindi non può essere applicata nel concreto senza tener conto del voto di questi.

Tra i punti più delicati, tuttavia, c’è la questione responsabilità-solidarietà. La prima viene richiesta ai Paesi di primo arrivo dei migranti, che quindi devono identificare, registrare e fornire la prima accoglienza, la seconda è invece in mano ai Paesi secondari, che si dovrebbero occupare dei ricollocamenti obbligatori. “No ai ricollocamenti obbligatori, ma è chiaro che i Paesi possono scegliere di garantire un altro tipo di solidarietà. La solidarietà deve essere obbligatoria altrimenti non sarebbe realistica“, ha dichiarato in merito Johansson. “Troveremo un compromesso. Vedremo come sarà equilibrato, ma è assolutamente necessario: non si può chiedere ad alcuni Paesi il ricollocamento mentre altri non fanno nulla. Non sarebbe una soluzione sostenibile, ci vuole equilibrio nella solidarietà nei confronti dei Paesi che sono sotto pressione“.

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