Non si sa se tiri effettivamente aria di ritorno di un governo giallo verde, viste le recenti prese di posizione da parte di Giuseppe Conte e Matteo Salvini sul nuovo invio di armi pesanti all’Ucraina. Un elemento, tuttavia, sembrerebbe certo: la politica italiana dovrà necessariamente riprendersi la propria scena a partire da questo mese di maggio. Tutto si è inevitabilmente bloccato allo scorso 24 febbraio, giorno dell’annuncio dell’invasione di Putin nel Paese che ha come capitale Kiev. Da quel momento, le variegate forze di governo (ma anche quelle di opposizione) hanno dovuto fare i conti con il conflitto nell’Europa dell’Est, abbandonando provvisoriamente le rispettive battaglie ideologiche e parlamentari.
Referendum sulla Giustizia, la campagna politica mai partita
Le coincidenze temporali non sono state fortunatissime, dal punto di vista dei partiti. Non appena il 17 febbraio 2022 la Corte Costituzionale diede il via libera ai quesiti sulla Giustizia (con data poi fissata dal governo per il successivo 12 giugno), promossi in primis dai Radicali e dalla Lega, la campagna referendaria non ebbe nemmeno il tempo tecnico di potere partire sui media che la guerra in Ucraina fece (quasi) inevitabilmente oscurare sui media tutta la propaganda da ambo gli schieramenti del Sì e del No. Per due mesi e mezzo tutte le discussioni sulla proposta di riforma del Csm, di separazione delle carriere e dei limiti della custodia cautelare sono state messe sotto il tappeto. Al momento sembrerebbe difficile che possano riemergere a meno di 40 giorni dal voto. Un oblio che sicuramente penalizza i promotori dei referendum, alla ricerca affannosa del 50% + 1 di affluenza alle urne.
Lo smarcamento di Salvini: “Ora si parla di bollette e di risparmi”
Tra i promotori c’era (c’è ancora?) Salvini, in prima fila nella raccolta delle firme ed esultante per l’ok della Consulta ai cinque quesiti. “Vittoria! Il centrodestra non ci è mai riuscito in 30 anni!”. Salvo poi lentamente smarcarsi da quella battaglia, quasi come se annusasse aria di flop. “I primi cinque titoli dei tg sono sulla guerra, il sesto e sul Covid, il settimo sulle bollette. Parlare di separazione delle carriere dei magistrati è difficile. Per questo preferisco parlare di casa, di risparmi e magari flat tax”, disse il leader della Lega in un’intervista rilasciata a metà aprile. Giorgia Meloni del referendum se n’è sempre interessata poco, con gli occhi già rivolti alle prossime elezioni politiche. E così, proprio a cavallo della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia, Salvini ha prontamente virato sull’asse con Conte per chiedere a Draghi delucidazioni sul futuro della guerra in Ucraina.
La politica italiana riuscirà a riprendersi una scena autonoma a maggio?
Insomma, siamo a maggio e la politica italiana ha capito che deve risvegliarsi dal torpore (politico, naturalmente) nel quale si è inabissata. Anche perché tra poco più di un mese, nello stesso giorno dei referendum, si terranno le elezioni amministrative. Probabilmente, non avranno non potranno assumere lo stesso significato politico di quelle di ottobre scorso (Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna). Ma comunque ci sono in ballo capoluoghi di regione (Genova, Palermo, L’Aquila e Catanzaro) nonché importanti capoluoghi di provincia: Parma, Piacenza, Verona, La Spezia, Padova, Alessandria, Asti, Como, Lodi, Monza, Pistoia, Rieti e Oristano. Senza contare che, tra sei mesi, sarà il momento anche della Regione Sicilia, ora a guida centrodestra. Ultimissimo antipasto prima delle elezioni politiche del 2023. Dove tutto, inevitabilmente, cambierà. Oppure no?