La Lega e la multa a chi usa il femminile negli atti pubblici

La Lega contro il femminile negli atti pubblici: multa fino a 5mila euro per chi usa​ «sindaca», «rettrice» e «avvocata»​. Ma sembra sia arrivato il dietrofront.

L’11 luglio scorso il senatore della Lega Manfredi Potenti ha presentato un disegno di legge intitolato «disposizioni per la tutela della lingua italiana rispetto alle differenze di genere».

Il testo completo non è ancora disponibile sul sito del Senato, essendo in fase di revisione da parte degli uffici legislativi di Palazzo Madama. Tuttavia, alcuni stralci di una bozza sono stati resi pubblici dall’agenzia AdnKronos.

Le anticipazioni hanno subito scatenato polemiche, come spesso accade con proposte di legge provocatorie: questa proposta mirava a proibire l’uso del femminile negli atti pubblici per indicare donne con cariche istituzionali, prevedendo multe da 1.000 a 5.000 euro per i trasgressori.

La Lega vuole multare chi usa il femminile negli atti pubblici

La proposta ha sorpreso lo stesso partito di Potenti: Matteo Salvini, segretario e vicepresidente del Consiglio, non ne era a conoscenza, e alcuni dirigenti della Lega si sono irritati.

Di conseguenza, nella tarda mattinata di lunedì, il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, ha chiesto a Potenti di ritirare il disegno di legge, considerandolo «fuori linea» rispetto all’orientamento del partito.

La Lega e la multa a chi usa il femminile negli atti pubblici: è davvero così?
La Lega e la multa a chi usa il femminile negli atti pubblici: è davvero così? Roberto Monaldo / LaPresse

 

Non è chiaro come sia avvenuto questo improvviso ripensamento: i senatori della Lega che hanno parlato con Potenti affermano che l’iniziativa fosse concordata con i responsabili del gruppo in Senato.

La proposta era stata presentata l’11 luglio e annunciata in aula cinque giorni dopo, risultando ufficialmente depositata. Probabilmente Salvini e i suoi collaboratori si sono interessati alla questione solo dopo la copertura mediatica. Ora spetta a Potenti ritirare la proposta: essendo un’iniziativa personale, è l’unico che può richiederne ufficialmente lo stralcio agli uffici del Senato.

Era evidente fin dall’inizio che fosse una proposta ideologica destinata a suscitare polemiche sui giornali e sui social network, con poche possibilità di essere approvata in parlamento.

La presentazione di un disegno di legge è solo l’inizio di un lungo processo che include la discussione nelle commissioni competenti e, eventualmente, in aula fino al voto finale.

Tuttavia, le camere non sono obbligate a esaminare le proposte di legge presentate dai singoli parlamentari. Deputati e senatori ne presentano centinaia in ogni legislatura, ma solo una piccola percentuale viene discussa e trasformata in legge.

Spesso, l’obiettivo del parlamentare che presenta tali documenti è sollevare un dibattito, ottenere visibilità su un tema o sostenere una battaglia ideologica per il proprio elettorato.

Ad esempio, nel marzo 2023, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia presentò una proposta di legge per multare fino a 100mila euro chi usa espressioni straniere negli atti ufficiali. La proposta, che suscitò molte polemiche, è ancora ferma.

La proposta di legge di Potenti ha una natura simile. Secondo il testo diffuso da AdnKronos, “in qualsiasi atto o documento emanato da enti pubblici o finanziati con fondi pubblici è vietato l’uso del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali, gradi militari, titoli professionali, onorificenze e incarichi individuati da atti aventi forza di legge”.

Se la proposta non fosse stata respinta dalla Lega e fosse diventata legge, non sarebbe stato più possibile usare termini come “sindaca” o “assessora” nei documenti pubblici. Il testo specifica che “è ammesso l’uso della doppia forma o del maschile universale, inteso in senso neutro e senza connotazione sessista”.

L’obiettivo dichiarato era “preservare l’integrità della lingua italiana ed evitare modifiche improprie dei titoli pubblici con adattamenti simbolici alle diverse sensibilità del tempo”.

Nel testo, la declinazione al femminile di cariche pubbliche era considerata “simbolica”, nonostante fosse prevista dalla grammatica italiana e diffusa da anni. Per Potenti, era importante evitare che la battaglia per la parità di genere ricorresse a questi “eccessi non rispettosi delle istituzioni”.

Il testo cita anche la decisione dell’Università di Trento, la quale lo scorso marzo ha introdotto l’uso del femminile sovraesteso per tutte le cariche dell’ateneo. Potenti ha commentato lamentandosi che anche rettori e professori sarebbero stati definiti al femminile, ma quell’iniziativa era simbolica e serviva a stimolare un dibattito.

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