Tutto partì un mese fa o poco più, anche se politicamente sembra trascorsa una vita intera. Era il 10 dicembre 2020, e Matteo Renzi per la prima volta aprì alla possibilità di staccare la spina al governo. Lo fece nel corso di una durissima intervista concessa a ‘El País’, ribadendo gli stessi concetti anche in Senato. Ma quali sono le istanze care a Italia Viva e che invece l’esecutivo non riesce a fare sue? E per quale motivo da questo dipende addirittura la fiducia al governo? Vediamo di fare chiarezza sulla crisi che sta infiammando il dibattito politico in queste ore. A poche ore da un Consiglio dei Ministri che si preannuncia decisivo.
Recovery Fund: un mese di diatribe? No, molto di più
Il problema, come è stato chiaro fin dalle primissime battute della lunga battaglia tra Italia Viva e il resto del governo, riguarda il Recovery Fund. “Avevamo chiesto, di fronte ai 200 miliardi da spendere, cifra che non ricapiterà per decenni, che il Parlamento faccia un dibattito vero. Sfidando le opposizioni. Altrimenti perdiamo la credibilità della politica“, aveva tuonato Renzi dallo scranno di Palazzo Madama in quel fatidico 10 dicembre. Aggiungendo, in maniera ancora più chiara, “Noi non scambieremo il nostro sì alla proposta di governance in cambio di un ‘aggiungi un posto a tavola’. Detta in un altro modo, non stiamo minimamente chiedendo che nella cabina di regia ci sia anche un ministro di un colore politico più vicino al nostro“.
La polemica era nata ancora prima, con Renzi che indicò anche una data precisa in cui Italia Viva chiese una maggiore partecipazione sui fondi europei e la loro destinazione. “Noi abbiamo chiesto il 22 luglio di venire in agosto in aula. Sarebbero andati bene anche settembre e ottobre. Quello che non va bene, signor presidente del Consiglio, è che ci arrivi nottetempo alle 2 sulla posta certificata dei ministri un progetto di 128 pagine“, osservò. E fece presente un ulteriore dettaglio, rivolgendosi al Pd: “Eravamo insieme, nello stesso partito, quando due anni fa firmammo un ricorso alla Corte Costituzionale contro la scelta del Governo di non farci discutere la legge di bilancio. Se sbaglia Salvini e noi facciamo lo stesso, sbagliamo anche noi“.
Renzi e le critiche a Conte: l’apparente riapertura
Renzi aveva voluto chiarire in un’intervista a ‘Il Messaggero’ di non avere l’interesse di far cadere Giuseppe Conte, anzi. “Non lavoro per la crisi di governo, lavoro per evitare la crisi del Paese. Ci sono duecento miliardi di euro che appartengono ai nostri figli, non accetto che qualcuno voglia spenderli alla chetichella, senza passare dal Parlamento“, aveva garantito il leader di Italia Viva.
Il 29 dicembre una nuova stoccata, sempre da Palazzo Madama. Gli argomenti di Renzi erano sempre gli stessi: un Recovery Plan deludente e la sensazione che fosse “piovuto dall’alto”. “Penso che il piano predisposto dal presidente del Consiglio manchi di ambizione, sia senz’anima. Questo è il momento nel quale ci giochiamo tutto. Una cosa del genere non va stabilita con un emendamento notturno“, disse ancora il leader di Italia Viva. Che poi preannunciò un colloquio tra una delegazione del suo partito e il ministro Gualtieri: “Presenteremo 61 punti su cui al momento non siamo d’accordo sulle 103 pagine di Next generation Eu“.
Quando Italia Viva produsse il “suo” Recovery Plan
Il nuovo anno portò tutt’altro che il sereno, tanto che da Italia Viva arrivò addirittura un Recovery Plan alternativo, ribattezzato ‘Ciao’ (“Cultura, Infrastrutture, Ambiente e Opportunità“). Ma si continuò a insistere anche a proposito della delega ai servizi segreti. “Quest’ultima non è la polizia privata di qualcuno, ma il sistema che gestisce la sicurezza dello Stato“, ricordò Renzi, parlando di deleghe concesse a loro tempo da Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e lui stesso, ma non da Conte.
Provando a chiudere questa lunga riflessione, cosa ci si deve aspettare dall’imminente Consiglio dei Ministri? C’è qualcosa che il Governo può fare per scongiurare la crisi? O anche, andando più nel concreto, cosa si aspetta precisamente Italia Viva per mantenere il proprio sostegno all’esecutivo Conte? Difficile dare una risposta certa, tanto più che Renzi e gli altri esponenti di partito hanno chiarito in ogni modo che non si tratta di questioni di poltrone. Anche uno dei temi caldi di queste ore, l’inserimento del Ponte sullo Stretto di Messina nel Recovery Fund, ha generato ulteriore confusione per due post su Twitter in evidente contraddizione l’uno con l’altro, nonostante siano separati da meno di tre mesi di distanza.
Grazie a Italia Viva, il Ponte sullo stretto entra a far parte delle opere del Recovery Fund. E’ un’opera strategica non solo per il Sud, ma per l’Italia e per l’Europa. Non possiamo aspettare, le risorse ci sono, diamo un futuro ai nostri giovani e al nostro Paese. gSilviaVono pic.twitter.com/vJ7ev43MEm
— Italia Viva (@ItaliaViva) October 13, 2020
“Chiariamo un punto: Italia Viva è a favore della realizzazione del #PontesulloStretto di Messina ma non ha mai chiesto che fosse inserito fra le opere realizzabili con il Recovery Fund”.@lucianonobili pic.twitter.com/2lcaSkkYsj
— Italia Viva (@ItaliaViva) January 9, 2021
Italia Viva e le prospettive dopo il Cdm
Quindi? Fonti parlamentari di Italia Viva affermano che “Renzi non ha davvero prefigurato lo scenario finale“, perché sa che “quando sei con altri al governo non puoi fare sempre come vorresti tu“. Aggiungono però che “occorre fare una sintesi su tutto ciò che è sul tavolo“, dal Recovery Plan, all’agenda di governo, fino alla struttura dell’esecutivo. Ma “nessuno si sta facendo carico di questa sintesi complessiva“. Viene contestato il metodo operativo del governo guidato da Giuseppe Conte, a riprova del fatto che anche aperture nel merito possano ormai apparire tardive. La “conta in Parlamento” sembra uno spauracchio per tutti, ma a questo punto non sembra facilmente evitabile. Mentre anche le condizioni per un Conte-ter andrebbero ricercate facendo quadrato sugli stessi argomenti che hanno creato la spaccatura. Che ormai somiglia a una crepa vicina ad abbattere una delle colonne portanti dell’esecutivo.