Dopo due anni di governo Meloni, quante promesse sono state mantenute?
Il governo e la maggioranza hanno lavorato intensamente sulle due principali riforme istituzionali promesse: il cambio di assetto costituzionale e l’autonomia differenziata delle regioni. Tuttavia, i risultati ottenuti finora sono ancora parziali e non completamente in linea con i propositi iniziali.
Per quanto riguarda il “premierato”, questa riforma risulta in contraddizione con il programma, dove si parlava dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Meloni ha abbandonato presto questo obiettivo, affrontando resistenze diffuse tra i vari partiti. Ha quindi optato per una riforma più limitata, l’elezione diretta del capo del governo (il “premierato”). La riforma costituzionale ha ottenuto solo la prima delle quattro approvazioni parlamentari necessarie, generando tensioni all’interno della Lega. Il percorso è ancora lungo e probabilmente si concluderà con un referendum confermativo che non potrà svolgersi prima del 2026.
L’autonomia differenziata, invece, è una riforma ordinaria, non costituzionale, che è stata approvata in via definitiva. Tuttavia, il testo della norma ha un carattere principalmente procedurale: non conferisce maggiori poteri alle regioni, ma definisce il percorso istituzionale e burocratico che amministrazioni locali, parlamento e governo dovranno seguire per permettere alle regioni di acquisire prerogative e funzioni attualmente di competenza dello Stato centrale. Questo sarà un percorso molto lungo e complesso, che solleva diverse incognite economiche. Anche in questo caso, l’effettivo riconoscimento dell’autonomia resta piuttosto lontano. L’impegno indicato nel programma («Attuare il percorso già avviato per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, garantendo tutti i meccanismi di perequazione previsti dall’art. 119 della Costituzione») era formulato in modo volutamente vago, riflettendo i forti dubbi che Forza Italia e Fratelli d’Italia nutrivano (e nutrono) verso questa riforma, cara soprattutto alla Lega.
La più clamorosa delle promesse fatte nel programma del 2022, ovvero la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) e la separazione delle carriere tra magistratura inquirente (che conduce le indagini) e magistrati giudicanti (che emettono le sentenze), rimane ancora un obiettivo sfuggente. A fine maggio, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge di riforma costituzionale in materia, ma il suo lungo percorso di approvazione parlamentare è appena iniziato. Ci vorranno ancora molti mesi, se non anni.
Riguardo all’altro notevole proposito inserito nel programma di governo, la riforma del diritto penale, sono state approvate singole misure di portata limitata. Perlopiù, sono stati introdotti nuovi reati, ma con poche conseguenze pratiche, se non quella di affollare ulteriormente gli istituti penitenziari e le carceri minorili. Un esempio è il “decreto Caivano” per la riforma della giustizia minorile, che ha portato il numero di detenuti minorenni al livello più alto degli ultimi dieci anni (circa 500).
Sul fronte del fisco, il governo ha lavorato con ambizione, avviando un riassetto complessivo delle normative fiscali. Per quanto riguarda la semplificazione degli adempimenti e la razionalizzazione del complesso sistema tributario, sono stati ottenuti i primi risultati parziali, come la riduzione del numero delle aliquote da quattro a tre e l’introduzione del concordato preventivo biennale. Anche il principio del “chi più assume meno paga” ha trovato un certo compimento con l’approvazione di un decreto attuativo a luglio, che prevede deduzioni fiscali del 120% per le assunzioni a tempo indeterminato.
Fratelli d’Italia aveva posto grande enfasi sulla volontà di riaffermare la centralità dell’Italia nell’area mediterranea e di promuovere un piano strategico europeo per lo sviluppo dell’Africa. Meloni ha effettivamente investito molto tempo ed energie nel cosiddetto “Piano Mattei”, un progetto di cooperazione mirato a favorire la crescita dei paesi africani e a ridurre i flussi migratori. Tuttavia, il progetto presenta ancora grosse incognite, e i suoi potenziali effetti sembrano lontani dal concretizzarsi. Inoltre, l’azione diplomatica che il governo aveva promesso di esercitare per attirare l’attenzione della NATO sul Mediterraneo è rimasta finora piuttosto inconcludente, come ha ammesso lo stesso Crosetto.
La coalizione attualmente al governo aveva promesso durante la campagna elettorale di mantenere una piena adesione al processo di integrazione europea, e in effetti ha mantenuto questo impegno. Anche se per anni Fratelli d’Italia e la Lega, i due principali partiti della coalizione, avevano espresso posizioni fortemente critiche nei confronti dell’Unione Europea, vagheggiando persino l’uscita dall’euro e la revisione di accordi e trattati, il governo di Meloni ha assunto nel complesso un approccio abbastanza europeista. Tuttavia, il governo è entrato più volte in conflitto con Francia e Germania e si è trovato isolato in momenti chiave, come durante l’elezione per un secondo mandato di von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea.
Restano infine alcune questioni delicate su cui il governo potrebbe essere costretto a smentire le storiche battaglie della destra, per evitare di aumentare le tensioni con la Commissione Europea. Tra queste, il MES (Meccanismo di Stabilità Europea), destinato a finanziare banche e Stati membri in caso di crisi economica, e le concessioni per i gestori di stabilimenti balneari.
PNRR, Patto di Stabilità e immigrazione
L’impegno di proseguire in modo efficiente con l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato mantenuto. Con oltre 200 miliardi di euro finanziati con fondi comuni europei, l’Italia ha proceduto velocemente rispetto ad altri paesi membri. Ha realizzato il maggior numero di obiettivi e ha ricevuto la percentuale più alta di fondi previsti. Tuttavia, il governo non è riuscito a colmare quelli che nel settembre 2022 definiva “gli attuali ritardi di attuazione“, attribuiti al governo precedente di Mario Draghi. I ritmi di spesa sui progetti finanziati dal PNRR restano infatti piuttosto bassi.
La coalizione si era prefissata di promuovere una revisione delle regole del Patto di Stabilità e della governance economica per attuare politiche capaci di assicurare una crescita stabile e duratura e la piena occupazione. Tuttavia, i negoziati per definire il nuovo Patto di Stabilità e Crescita non sono andati come il governo sperava. Meloni stessa ha ammesso di non essere soddisfatta del risultato, che conferma la necessità di rispettare alcuni stringenti parametri su deficit e debito, limitando lo spazio di manovra finanziaria e obbligando il governo a una politica economica estremamente parsimoniosa. A causa del nuovo Patto di Stabilità, nei prossimi sette anni l’Italia dovrà procedere a un aggiustamento di bilancio di 10-12 miliardi all’anno, riducendo le spese o aumentando le tasse.
L’impegno assunto dal centrodestra di promuovere la delegificazione e deregolamentazione per razionalizzare il funzionamento della pubblica amministrazione ha avuto un percorso piuttosto lento. Solo poche settimane fa, il governo ha dato piena attuazione a una legge delega approvata dal parlamento nell’agosto 2022, con un certo ritardo. Sulla base di quella norma, altri provvedimenti sono stati elaborati e sono all’esame del parlamento fin dallo scorso gennaio. La loro approvazione entro la fine dell’anno è cruciale per il conseguimento di alcuni obiettivi del PNRR.
Anche per quanto riguarda l’impegno di semplificare il Codice degli appalti, il governo ha ottenuto risultati, sebbene ancora parziali. Nel marzo 2023, il Consiglio dei Ministri ha approvato una nuova versione del Codice degli appalti che disciplina le procedure per l’assegnazione dei lavori pubblici, introducendo alcune delle novità promesse dal centrodestra. Queste modifiche miravano a snellire le procedure, sebbene a costo di attenuare alcuni vincoli sulla legalità. Dopo poco più di un anno, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, responsabile della materia, ha avviato una serie di consultazioni con associazioni di categoria e rappresentanti delle istituzioni per preparare ulteriori modifiche al Codice.
Un bilancio definitivo sull’efficacia delle politiche del governo nella gestione dell’immigrazione è difficile da fare, poiché gli arrivi dei migranti dipendono principalmente da cause esterne (crisi politiche e sociali nei paesi africani, condizioni meteorologiche, ecc.). L’immigrazione è senza dubbio l’ambito che più di ogni altro evidenzia la distanza tra le promesse politiche e la complessità della realtà, molto più difficile da gestire rispetto a quanto suggeriscono gli annunci securitari di molti partiti di destra.
Il contrasto all’immigrazione irregolare e la gestione ordinata dei flussi di immigrazione regolare sono stati propositi in gran parte mancati nel primo anno di governo, il 2023, durante il quale si è registrato un aumento straordinario degli sbarchi su livelli senza precedenti nell’ultimo decennio, principalmente a causa della crisi istituzionale ed economica in Tunisia. Tuttavia, nel 2024 si è verificata una inversione di tendenza, con una sensibile diminuzione degli sbarchi, in parte grazie ad alcuni accordi bilaterali tra l’Italia e paesi come la Costa d’Avorio, la Libia e la Tunisia.
Tra gli obiettivi del programma di governo del centrodestra c’era la difesa dei confini nazionali ed europei in linea con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo dell’UE, puntando sul controllo delle frontiere e sul blocco degli sbarchi. Tuttavia, Meloni ha dovuto presto abbandonare l’idea irrealizzabile del “blocco navale”. Questo blocco, come inteso da Meloni, doveva essere realizzato in accordo con le autorità dei paesi di partenza per impedire le partenze, e non tramite un blocco navale imposto con la forza militare. Inoltre, quando il governo ha cercato di agire unilateralmente, come nel caso della Ocean Viking nel novembre 2022, si è scontrato con altri paesi europei, in particolare la Francia.
Il primo anno di governo di Meloni, caratterizzato da un approccio più restrittivo sul soccorso in mare, è stato segnato dal tragico naufragio al largo di Cutro, in Calabria, nel febbraio 2023, dove persero la vita un centinaio di persone. In questo incidente, il ritardo nei soccorsi da parte delle autorità italiane e il rimpallo di responsabilità potrebbero aver avuto un ruolo. A luglio, la procura di Crotone ha chiuso un’inchiesta chiedendo il rinvio a giudizio per quattro membri della Guardia di Finanza e due della Guardia Costiera.
L’azione del governo ha avuto invece un certo successo a livello europeo. Il nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, approvato dal Consiglio dell’Unione Europea nel maggio scorso, ha accolto alcune delle richieste italiane. Sono state introdotte misure che facilitano l’espulsione dei migranti e il loro ritorno nei paesi d’origine, e il meccanismo di ricollocamento è stato leggermente rafforzato, incentivando i paesi del Nord Europa ad accogliere una parte dei migranti arrivati nei paesi di primo approdo, come quelli dell’Est Europa e quelli che affacciano sul Mediterraneo.