Governo Meloni: quante promesse sono state mantenute?

I propositi non realizzati da parte del governo Meloni riguardano principalmente l’Europa e la giustizia, va meglio invece con PNRR e fisco

Sono quasi trascorsi due anni dall’elezione di Giorgia Meloni a Presidente del Consiglio, un periodo sufficiente per tracciare un bilancio, anche se parziale, del suo governo. Poco prima delle elezioni del 25 settembre 2022, i tre partiti della coalizione di destraFratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – avevano presentato una sintesi programmatica suddivisa per argomenti e punti specifici. Molti di questi erano propositi vaghi e difficili da misurare (ad esempio, cosa significa realmente “Valorizzare la Bellezza dell’Italia nella sua immagine riconosciuta nel mondo”?), mentre altri erano più concreti. È quindi possibile fare una valutazione di quanti di questi impegni siano stati effettivamente rispettati.

Dopo due anni di governo Meloni, quante promesse sono state mantenute?

Il governo e la maggioranza hanno lavorato intensamente sulle due principali riforme istituzionali promesse: il cambio di assetto costituzionale e l’autonomia differenziata delle regioni. Tuttavia, i risultati ottenuti finora sono ancora parziali e non completamente in linea con i propositi iniziali.

Per quanto riguarda il “premierato”, questa riforma risulta in contraddizione con il programma, dove si parlava dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Meloni ha abbandonato presto questo obiettivo, affrontando resistenze diffuse tra i vari partiti. Ha quindi optato per una riforma più limitata, l’elezione diretta del capo del governo (il “premierato”). La riforma costituzionale ha ottenuto solo la prima delle quattro approvazioni parlamentari necessarie, generando tensioni all’interno della Lega. Il percorso è ancora lungo e probabilmente si concluderà con un referendum confermativo che non potrà svolgersi prima del 2026.

Governo Meloni: dopo due anni quante promesse sono state mantenute?
Governo Meloni: dopo due anni quante promesse sono state mantenute? | ANSA/ Claudio Lattanzio – Newsby.it

 

L’autonomia differenziata, invece, è una riforma ordinaria, non costituzionale, che è stata approvata in via definitiva. Tuttavia, il testo della norma ha un carattere principalmente procedurale: non conferisce maggiori poteri alle regioni, ma definisce il percorso istituzionale e burocratico che amministrazioni locali, parlamento e governo dovranno seguire per permettere alle regioni di acquisire prerogative e funzioni attualmente di competenza dello Stato centrale. Questo sarà un percorso molto lungo e complesso, che solleva diverse incognite economiche. Anche in questo caso, l’effettivo riconoscimento dell’autonomia resta piuttosto lontano. L’impegno indicato nel programma («Attuare il percorso già avviato per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, garantendo tutti i meccanismi di perequazione previsti dall’art. 119 della Costituzione») era formulato in modo volutamente vago, riflettendo i forti dubbi che Forza Italia e Fratelli d’Italia nutrivano (e nutrono) verso questa riforma, cara soprattutto alla Lega.

La più clamorosa delle promesse fatte nel programma del 2022, ovvero la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) e la separazione delle carriere tra magistratura inquirente (che conduce le indagini) e magistrati giudicanti (che emettono le sentenze), rimane ancora un obiettivo sfuggente. A fine maggio, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge di riforma costituzionale in materia, ma il suo lungo percorso di approvazione parlamentare è appena iniziato. Ci vorranno ancora molti mesi, se non anni.

Riguardo all’altro notevole proposito inserito nel programma di governo, la riforma del diritto penale, sono state approvate singole misure di portata limitata. Perlopiù, sono stati introdotti nuovi reati, ma con poche conseguenze pratiche, se non quella di affollare ulteriormente gli istituti penitenziari e le carceri minorili. Un esempio è il “decreto Caivano” per la riforma della giustizia minorile, che ha portato il numero di detenuti minorenni al livello più alto degli ultimi dieci anni (circa 500).

Sul fronte del fisco, il governo ha lavorato con ambizione, avviando un riassetto complessivo delle normative fiscali. Per quanto riguarda la semplificazione degli adempimenti e la razionalizzazione del complesso sistema tributario, sono stati ottenuti i primi risultati parziali, come la riduzione del numero delle aliquote da quattro a tre e l’introduzione del concordato preventivo biennale. Anche il principio del “chi più assume meno paga” ha trovato un certo compimento con l’approvazione di un decreto attuativo a luglio, che prevede deduzioni fiscali del 120% per le assunzioni a tempo indeterminato.

La promessa di estendere la flat tax al 15% per le partite IVA fino a 100.000 euro di fatturato è rimasta inattuata. La soglia precedente, che consentiva il trattamento agevolato solo a chi fatturava fino a 65.000 euro, è stata aumentata solo fino a 85.000 euro.

Allo stesso modo, l’obiettivo principale del programma, la riduzione della pressione fiscale, non è stato raggiunto. Le tasse per imprese e famiglie sono rimaste sostanzialmente invariate negli ultimi due anni, con il rapporto tra imposte e PIL che si aggira ancora intorno al 42,5%. Anzi, nel primo trimestre di quest’anno, l’ISTAT ha registrato un aumento della pressione fiscale di circa 0,8 punti di PIL rispetto allo stesso periodo del 2023.

Il promesso taglio del cuneo fiscale a favore di imprese e lavoratori è stato attuato, ma in modo poco strutturato. A maggio 2023, il governo aveva introdotto una riduzione delle imposte e dei contributi del 7% sui redditi fino a 25.000 euro e del 6% per quelli tra 25.000 e 35.000 euro, ma solo per il secondo semestre di quell’anno. Successivamente, questa misura è stata rinnovata per il 2024, e si attende che la nuova legge di bilancio confermi lo sgravio anche per il 2025.

Poco è stato fatto per il promesso rafforzamento delle politiche attive per il lavoro. Nonostante l’abolizione del reddito di cittadinanza, che è stato sostituito da uno strumento più selettivo e meno generoso, il reddito di inclusione, l’impegno per potenziare le politiche attive è stato largamente disatteso. Il governo aveva promesso di intervenire in questo settore per aiutare le persone a migliorare le proprie competenze professionali e a trovare un buon lavoro, ma i risultati sono stati scarsi.

Per quanto riguarda la tutela del potere d’acquisto delle famiglie, l’andamento dell’economia generale, influenzato principalmente da fattori internazionali, ha nel complesso favorito il governo. Grazie al rallentamento dell’inflazione (cioè l’aumento dei prezzi), il potere d’acquisto delle famiglie, pur con oscillazioni, è cresciuto tra la fine del 2022 e il primo trimestre del 2024, tornando quasi ai livelli della metà del 2021 (prima della crisi energetica e dell’inizio della guerra in Ucraina).

Il governo Meloni ha mantenuto i principali accordi internazionali in sostanziale continuità con i governi precedenti. Nonostante le frequenti intemperanze del leader della Lega Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi finché era in vita, il governo ha rispettato gli impegni assunti a sostegno della resistenza ucraina contro l’invasione russa, ottenendo considerazione anche da un presidente statunitense di diverso orientamento politico come Joe Biden.

L’adeguamento degli stanziamenti per la difesa, ossia l’impegno preso dai paesi membri della NATO di aumentare la spesa militare fino al 2% del PIL, è un impegno non mantenuto. L’Italia continua a non rispettare questo parametro, rimanendo tra i nove paesi dei 32 aderenti all’alleanza transatlantica con una spesa per la difesa inferiore a tale soglia. Attualmente, l’Italia si colloca al sestultimo posto con una spesa pari all’1,53% del PIL. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha riconosciuto questa criticità durante un intervento alla Camera il primo agosto, ammettendo che questo aspetto rappresenta una delle maggiori contestazioni rivolte al nostro paese.

Fratelli d’Italia aveva posto grande enfasi sulla volontà di riaffermare la centralità dell’Italia nell’area mediterranea e di promuovere un piano strategico europeo per lo sviluppo dell’Africa. Meloni ha effettivamente investito molto tempo ed energie nel cosiddetto “Piano Mattei”, un progetto di cooperazione mirato a favorire la crescita dei paesi africani e a ridurre i flussi migratori. Tuttavia, il progetto presenta ancora grosse incognite, e i suoi potenziali effetti sembrano lontani dal concretizzarsi. Inoltre, l’azione diplomatica che il governo aveva promesso di esercitare per attirare l’attenzione della NATO sul Mediterraneo è rimasta finora piuttosto inconcludente, come ha ammesso lo stesso Crosetto.

La coalizione attualmente al governo aveva promesso durante la campagna elettorale di mantenere una piena adesione al processo di integrazione europea, e in effetti ha mantenuto questo impegno. Anche se per anni Fratelli d’Italia e la Lega, i due principali partiti della coalizione, avevano espresso posizioni fortemente critiche nei confronti dell’Unione Europea, vagheggiando persino l’uscita dall’euro e la revisione di accordi e trattati, il governo di Meloni ha assunto nel complesso un approccio abbastanza europeista. Tuttavia, il governo è entrato più volte in conflitto con Francia e Germania e si è trovato isolato in momenti chiave, come durante l’elezione per un secondo mandato di von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea.

Restano infine alcune questioni delicate su cui il governo potrebbe essere costretto a smentire le storiche battaglie della destra, per evitare di aumentare le tensioni con la Commissione Europea. Tra queste, il MES (Meccanismo di Stabilità Europea), destinato a finanziare banche e Stati membri in caso di crisi economica, e le concessioni per i gestori di stabilimenti balneari.

PNRR, Patto di Stabilità e immigrazione

L’impegno di proseguire in modo efficiente con l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato mantenuto. Con oltre 200 miliardi di euro finanziati con fondi comuni europei, l’Italia ha proceduto velocemente rispetto ad altri paesi membri. Ha realizzato il maggior numero di obiettivi e ha ricevuto la percentuale più alta di fondi previsti. Tuttavia, il governo non è riuscito a colmare quelli che nel settembre 2022 definiva “gli attuali ritardi di attuazione“, attribuiti al governo precedente di Mario Draghi. I ritmi di spesa sui progetti finanziati dal PNRR restano infatti piuttosto bassi.

Governo Meloni: dopo due anni quante promesse sono state mantenute?
Governo Meloni: dopo due anni quante promesse sono state mantenute? – ANSA – Newsby.it

 

La coalizione si era prefissata di promuovere una revisione delle regole del Patto di Stabilità e della governance economica per attuare politiche capaci di assicurare una crescita stabile e duratura e la piena occupazione. Tuttavia, i negoziati per definire il nuovo Patto di Stabilità e Crescita non sono andati come il governo sperava. Meloni stessa ha ammesso di non essere soddisfatta del risultato, che conferma la necessità di rispettare alcuni stringenti parametri su deficit e debito, limitando lo spazio di manovra finanziaria e obbligando il governo a una politica economica estremamente parsimoniosa. A causa del nuovo Patto di Stabilità, nei prossimi sette anni l’Italia dovrà procedere a un aggiustamento di bilancio di 10-12 miliardi all’anno, riducendo le spese o aumentando le tasse.

L’impegno assunto dal centrodestra di promuovere la delegificazione e deregolamentazione per razionalizzare il funzionamento della pubblica amministrazione ha avuto un percorso piuttosto lento. Solo poche settimane fa, il governo ha dato piena attuazione a una legge delega approvata dal parlamento nell’agosto 2022, con un certo ritardo. Sulla base di quella norma, altri provvedimenti sono stati elaborati e sono all’esame del parlamento fin dallo scorso gennaio. La loro approvazione entro la fine dell’anno è cruciale per il conseguimento di alcuni obiettivi del PNRR.

Anche per quanto riguarda l’impegno di semplificare il Codice degli appalti, il governo ha ottenuto risultati, sebbene ancora parziali. Nel marzo 2023, il Consiglio dei Ministri ha approvato una nuova versione del Codice degli appalti che disciplina le procedure per l’assegnazione dei lavori pubblici, introducendo alcune delle novità promesse dal centrodestra. Queste modifiche miravano a snellire le procedure, sebbene a costo di attenuare alcuni vincoli sulla legalità. Dopo poco più di un anno, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, responsabile della materia, ha avviato una serie di consultazioni con associazioni di categoria e rappresentanti delle istituzioni per preparare ulteriori modifiche al Codice.

Un bilancio definitivo sull’efficacia delle politiche del governo nella gestione dell’immigrazione è difficile da fare, poiché gli arrivi dei migranti dipendono principalmente da cause esterne (crisi politiche e sociali nei paesi africani, condizioni meteorologiche, ecc.). L’immigrazione è senza dubbio l’ambito che più di ogni altro evidenzia la distanza tra le promesse politiche e la complessità della realtà, molto più difficile da gestire rispetto a quanto suggeriscono gli annunci securitari di molti partiti di destra.

Il contrasto all’immigrazione irregolare e la gestione ordinata dei flussi di immigrazione regolare sono stati propositi in gran parte mancati nel primo anno di governo, il 2023, durante il quale si è registrato un aumento straordinario degli sbarchi su livelli senza precedenti nell’ultimo decennio, principalmente a causa della crisi istituzionale ed economica in Tunisia. Tuttavia, nel 2024 si è verificata una inversione di tendenza, con una sensibile diminuzione degli sbarchi, in parte grazie ad alcuni accordi bilaterali tra l’Italia e paesi come la Costa d’Avorio, la Libia e la Tunisia.

Tra gli obiettivi del programma di governo del centrodestra c’era la difesa dei confini nazionali ed europei in linea con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo dell’UE, puntando sul controllo delle frontiere e sul blocco degli sbarchi. Tuttavia, Meloni ha dovuto presto abbandonare l’idea irrealizzabile del “blocco navale”. Questo blocco, come inteso da Meloni, doveva essere realizzato in accordo con le autorità dei paesi di partenza per impedire le partenze, e non tramite un blocco navale imposto con la forza militare. Inoltre, quando il governo ha cercato di agire unilateralmente, come nel caso della Ocean Viking nel novembre 2022, si è scontrato con altri paesi europei, in particolare la Francia.

Il primo anno di governo di Meloni, caratterizzato da un approccio più restrittivo sul soccorso in mare, è stato segnato dal tragico naufragio al largo di Cutro, in Calabria, nel febbraio 2023, dove persero la vita un centinaio di persone. In questo incidente, il ritardo nei soccorsi da parte delle autorità italiane e il rimpallo di responsabilità potrebbero aver avuto un ruolo. A luglio, la procura di Crotone ha chiuso un’inchiesta chiedendo il rinvio a giudizio per quattro membri della Guardia di Finanza e due della Guardia Costiera.

L’azione del governo ha avuto invece un certo successo a livello europeo. Il nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, approvato dal Consiglio dell’Unione Europea nel maggio scorso, ha accolto alcune delle richieste italiane. Sono state introdotte misure che facilitano l’espulsione dei migranti e il loro ritorno nei paesi d’origine, e il meccanismo di ricollocamento è stato leggermente rafforzato, incentivando i paesi del Nord Europa ad accogliere una parte dei migranti arrivati nei paesi di primo approdo, come quelli dell’Est Europa e quelli che affacciano sul Mediterraneo.

La creazione di hot-spot nei territori extra-europei, gestiti dall’Unione Europea per valutare le richieste d’asilo, è un punto del programma del governo Meloni che ha trovato una parziale realizzazione nell’accordo tra Italia e Albania. Questo accordo prevede la costruzione di due centri per migranti in territorio albanese. Tuttavia, il progetto è in ritardo rispetto alle scadenze inizialmente indicate dal governo, e persistono grossi dubbi sul suo effettivo funzionamento. Saranno trasferiti in Albania solo migranti maschi, maggiorenni e in buona salute, soccorsi dalle autorità italiane (come Guardia Costiera, Guardia di Finanza o Marina Militare) al di fuori delle acque territoriali italiane o di altri Stati membri dell’Unione Europea.

In Albania arriveranno solo persone provenienti da paesi considerati “sicuri” dal governo italiano, ossia paesi dove si presume che l’ordinamento democratico e i diritti umani siano rispettati. Tuttavia, questa definizione è stata applicata in modo controverso anche a paesi con note violazioni sistematiche dei diritti umani, come Nigeria e Tunisia.

Nel capitolo sulla sicurezza, il programma di governo includeva anche un impegno per un “piano carceri”, con maggiore attenzione alla Polizia Penitenziaria e con accordi con Stati esteri per consentire la detenzione in patria dei detenuti stranieri. Tuttavia, sull’emergenza umanitaria in corso nelle carceri italiane, il governo è intervenuto con grosso ritardo e con provvedimenti che non introducono misure concrete per ridurre rapidamente il problema del sovraffollamento. Anzi, le misure adottate finora non sembrano affrontare efficacemente questa criticità.

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