Fine vita, il Pd silura la consigliera dissidente che ha affossato la legge in Veneto

Lo strappo dal partito nel voto in Veneto sul fine vita è costato alla consigliera Anna Maria Bigon i gradi di vice segretaria del Partito democratico a Verona. Un’iniziativa “compiuta in totale autonomia” dalla segreteria provinciale che non ha coinvolto i vertici nazionali, puntualizzano da Roma i dem. Il siluramento infatti è stato deciso e annunciato dal responsabile del Pd veronese Franco Bonfante.

Lo statuto del partito in effetti non permette espulsioni o sospensioni per chi vota in dissenso dal gruppo, a maggior ragione su temi etici, come quello del suicidio medicalmente assistito. Certo, la segretaria dem Elly Schlein non l’aveva presa bene tanto da definire il fattaccio una “ferita” perché “se il partito ti chiede di uscire dall’aula è giusto farlo e non decidere da sola”, aveva detto a proposito della decisione della consigliera cattolica di astenersi contro l’indicazione del gruppo, dando così una mano alla destra a spingere sul binario morto la proposta di legge caldeggiata anche dal presidente del Veneto, il leghista Luca Zaia.

A sollevarsi era stato anche il Pd regionale.Se si sta dentro una comunità politica non si può ignorare la grammatica del rispetto e del farsi carico della complessità. Ci sono dei valori, attorno ai quali ci ritroviamo”, si era rammaricata la capogruppo in Regione Vanessa Camani.

Il Pd veronese silura la consigliera dissenziente

Del resto Bonfante è stato di parola. Aveva garantito che la “storia” non sarebbe finita lì annunciando la convocazione a stretto giro di un “direttivo” per discutere la pratica. E così è stato. La revoca della delega è stata “una mia scelta, una scelta politica. Non ho condiviso la decisione di Bigon specie nel metodo. Non si poteva far finta di nulla”, ha spiegato il segretario veronese.

Una decisione che si è resa necessaria “per il venir meno del rapporto di fiducia politica, tenuto conto del generale sentimento di iscritti ed elettori del Pd veronese, in grandissima maggioranza sconcertati e delusi dalla scelta di Bigon e favorevoli a regolamentare il fine vita a seguito della sentenza della Consulta”. Secondo Bondante, “è corretto che sia lasciata libertà di voto per motivi di coscienza. Ma chi la pratica deve essere consapevole delle conseguenze politiche, a maggior ragione se vi erano alternative, come l’uscita dall’aula”.

Fabiano Antoniani, "Dj Fabo"
Fabiano Antoniani, “Dj Fabo” | Foto ANSA/Eutanasialegale.it – Newsby.it

La rivolta dell’area cattolica del Pd

Tra i big del partito non tutti condividono la mossa di Bonfante. Anzi c’è chi come il senatore Graziano Delrio, dell’area cattolica del Pd, che torna ad agitare “l’allarme democrazia” nel partito. “È un brutto segnale” perché è “inammissibile che si voglia processare una persona per le sue idee”. Sulla stessa linea Pierluigi Castagnetti, che parla di mossa “a dir poco sconcertante” ricordando che “la Costituzione riconosce a tutti i legislatori di non essere sottoposti a vincolo di mandato”.
Con Bigon si schiera anche Debora Serracchiani, pur non condividendone la decisione. “L’esercizio della libertà di coscienza non può essere punito“, sostiene la deputata dem chiedendo al segretario del Pd veronese “di ripensarci”.

Bigon difende la scelta di astenersi

Bigon, 57 anni da compiere il prossimo giugno, dal canto suo non cambia linea e insiste sulle cure palliative, come fatto in Consiglio regionale. “Ribadisco che la scelta di garantire diritti ai malati deve essere fatta in maniera diversa, con leggi nazionali o delibere sanitarie specifiche, per evitare diritti diversi ai cittadini a cui va garantita in ogni caso la qualità delle cure palliative. Le cure palliative sono uno strumento per la vita, per l’alleviamento delle sofferenze dei malati, per un loro libero esercizio su modi e tempi di conclusione della propria vita”, scrive in una nota.

Mi è stato chiesto di uscire dall’aula. Credo che la libertà di scelta che il Partito democratico prevede, consente l’espressione di un libero pensiero e non soltanto quando esso è ininfluente. Se fossi uscita, anziché astenermi al voto, avrei ridotto il mio comportamento alla dimensione di pura testimonianza”.

La proposta di legge sul suicidio assistito

La proposta di iniziativa popolare, sostenuta da 9mila firme raccolte dall’Associazione Coscioni, è stata presentata in Veneto come in tutte le altre Regioni italiane con l’obiettivo di introdurre tempi e procedure certi per i malati terminali che chiedono di accedere al suicidio medicalmente assistito. Un intervento mirato a supplire a un Parlamento che, seppur sollecitato dalla Corte Costituzionale, tarda a legiferare in materia.

Il testo tra le altre cose impone alle Asl un termine massimo di 27 giorni entro il quale dare una risposta ai pazienti che vogliono ricorrere al trattamento per la morte volontaria. L’obiettivo è dunque quello di risparmiare a altri malati le lunghe attese a cui tipicamente deve sottoporsi chi fa richiesta all’Azienda sanitaria locale.

La possibilità di rincorrere al suicidio medicalmente assistito è garantita dal 2019, in forza della sentenza della Consulta sul caso di Fabiano Antoniani, “dj Fabo”, che ha fissato i requisiti per poter richiedere l’aiuto indiretto a morire (capacità di intendere e volere, patologia irreversibile, gravi sofferenze fisiche o psichiche, trattamenti di sostegno vitale).

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