Il governo Conte esce intatto, se non addirittura rafforzato, dall’Election Day del 20 e 21 settembre. Le Regionali regalano infatti un “pareggio” che sa di vittoria politica per il Partito Democratico e per Nicola Zingaretti. Il centrosinistra tiene la Toscana, così come aveva tenuto l’Emilia Romagna qualche mese fa, grazie alle sue sedimentazioni profonde e a ciò che resta una cultura politica antica, sensibile alla grande chiamata di fronte all’“allarme democratico”, così come paventato dal segretario dem. Sul fronte opposto, è fallita la spallata voluta da Matteo Salvini: il 6-0 “pronosticato” alla vigilia dal segretario della Lega si trasforma in un 3-3.
Non è bastato in questo caso la “non personalizzazione” del voto in Toscana da parte del leader del Carroccio, che aveva imparato la lezione dello scorso 26 gennaio. Susanna Ceccardi esce sconfitta contro Eugenio Giani, anche se le vittorie bulgare del centrosinistra nella regione “rossa” per eccellenza sono lontane anni luce. Il Pd conserva anche la Puglia, dove alla vigilia ci si attendeva un fitto testa a testa tra Michele Emiliano e Raffaele Fitto, risolto invece alla fine con otto punti di vantaggio del primo sul secondo. Netta invece l’imposizione dell’altro presidente di Regione uscente: Vincenzo De Luca è confermatissimo alla guida della Campania.
Election Day, le Regionali vedono il trionfo dei presidenti uscenti
A proposito di presidenti di Regione uscenti, anche il centrodestra conferma il trend di questa tornata elettorale. Il plebiscito di Luca Zaia in Veneto è ascrivibile soprattutto alla propria lista, che vale tre volte quella della Lega; seppur con numeri inferiori, anche Giovanni Toti resta a capo della Liguria, trainato dalla propria lista Cambiamo. È come se il Covid avesse congelato il Paese, rafforzando chi aveva le leve del potere ed era in grado di affrontare e risolvere i non banali problemi che l’emergenza pone. Dopo l’Umbria, crolla comunque un’altra roccaforte di sinistra come le Marche. Giorgia Meloni ottiene quindi una vittoria a metà: nonostante il ko di Fitto, Francesco Acquaroli diventa il secondo presidente di Regione di Fratelli d’Italia dopo Marsilio in Abruzzo.
Crollano i 5 Stelle, che si possono accontentare “solo” del referendum
Se il Partito Democratico esulta, chi insegue ora è l’alleato, un tempo il vero traino dello schema. Il Movimento 5 Stelle ha portato Sì a casa uno dei cavalli di battaglia storici: la riduzione del numero dei parlamentari, riuscendo dove in pochi avrebbero osato. Ma ha incassato una vittoria destinata a bruciarsi velocemente.
Il controcanto infatti è il tonfo, l’ennesimo, alle Regionali che mai come quest’anno fa malissimo: nel bacino del Sud, la cassaforte grillina di voti, sono crollati intorno al 10%. Ora per i 5 stelle incombono le decisioni sulla leadership e Luigi Di Maio, che sul referendum ha imposto la sua faccia per primo e lo ha fatto libero dall’etichetta di capo politico, è quello che oggi può dirsi vincitore. In attesa degli Stati Generali. Non va molto meglio a Italia Viva, al primo vero banco di prova elettorale dalla scissione dal Pd di un anno fa. Nella sua Toscana, Matteo Renzi incide veramente pochissimo nel trionfo di Giani, con la sua lista che non riesce nemmeno a ottenere il 5%.
Il futuro del governo
Adesso la domanda che circola insistentemente è una sola: che cosa succede? O meglio: il Pd che per un anno ha accettato tutto o quasi dal fronte 5 stelle, cosa chiederà come trofeo per la vittoria? Che si accontenti di un rimpasto o della famosa stagione di riforme (legge elettorale, Mes e abolizione dei decreti sicurezza) è presto per dirlo. Anche perché, neanche troppo sullo sfondo, l’unica variabile capace di cambiare le carte in tavola si chiama Giuseppe Conte. Insomma, l’unica cosa che si può dire con certezza è che oggi si apre la fase 2 del Conte 2.