Inizialmente la guerra fra Russia e Ucraina sembrava una rivisitazione moderna di Davide contro Golia. Da un lato il potente esercito di Mosca; dall’altro la coriacea resistenza ucraina, fin troppo sottovalutata dal Cremlino e da Vladimir Putin, che puntava su una Blitzkrieg.
I combattimenti, che si protraggono ormai da tre settimane, raccontano però una storia diversa. Tanto che Putin, per sconfiggere le forze armate di Kiev (supportate militarmente ed economicamente dall’Occidente), ha dovuto far ricorso a un “aiuto” esterno. Vale a dire a una schiera di “foreign fighters” pronti a combattere al fianco della Russia. Questi provengono soprattutto dal Medio Oriente e dal continente africano, territori dove Mosca ha a lungo investito sul piano militare e politico. Ma siamo sicuri che questa chiamata alle armi di Putin sia una mossa vincente?
Ucraina, i 16mila mercenari pronti a combattere per lo Zar e lo spettro dell’estremismo
Secondo le stime di Mosca, sarebbero circa 16mila i volontari – o, per meglio dire, i mercenari – scesi in campo per contribuire alla causa russa. Questi proverrebbero principalmente da due Paesi: la Siria e la Repubblica Centrafricana, ovvero due delle nazioni che all’Assemblea generale dell’Onu non hanno condannato l’invasione dell’Ucraina.
Damasco ha infatti votato, insieme ad altri quattro, contro la risoluzione delle Nazioni Unite; mentre Bangui si è astenuta. Non a caso, sia il regime di Bashar al-Assad in Siria sia quello di Faustin-Archange Touadéra in Repubblica Centrafricana hanno a lungo goduto dell’appoggio del Cremlino. Questi Paesi sono poi storicamente legati da rapporti commerciali (soprattutto in campo bellico) con la Russia, che ancora oggi esercita la sua influenza in quei territori.
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In Africa, inoltre, sono da tempo attivi i paramilitari del Gruppo Wagner, che secondo il Times di Londra avrebbero addirittura ricevuto da Putin l’incarico di uccidere il presidente ucraino Volodymyr Zelenksy. E che, per la “missione” in Ucraina, avrebbero arruolato mercenari stipendiati con 2mila dollari al mese. Più in generale, secondo gli esperti, l’apporto delle milizie private alla Russia non sarebbe tanto sul piano militare, quanto più su quello della gestione delle guerriglie urbane.
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Creare delle legioni straniere, però, può essere pericoloso perfino per la Russia. Ne è convinta Naureen Chowdhury Fink, direttrice del Soufan Center ed esperta di antiterrorismo, che in un’analisi pubblicata sulla Cnn espone i rischi di questa pratica. Quello principale è un possibile “cambio” di bandiera, con alcuni combattenti che potrebbero arruolarsi in vere e proprie organizzazioni estremiste se non addirittura terroristiche. In questo caso, dunque, non sarebbero tutelati dal diritto umanitario internazionale.
Solo i volontari che si arruolano nella legione straniera “ufficiale” godono infatti di tutela legale da parte di una nazione. Non a caso la Russia stessa – nonostante la chiamata a rapporto di Putin – ha tenuto a precisare che considererà gli stranieri giunti in Ucraina per combattere al suo fianco come dei puri e semplici “mercenari”. Smarcandosi così dalle atrocità che questi potrebbero commettere in alcuni territori; oppure quelle che potrebbero mettere in atto una volta ritornati nei rispettivi Paesi d’origine.
Secondo l’esperta, dunque, le ricadute potrebbero essere numerose, tanto imprevedibili quanto pericolose. Motivo per cui sostiene la necessità che gli Stati rivedano gli accordi internazionali in materia di antiterrorismo, stabilendo inoltre se questi valgano o meno per i mercenari presenti in Ucraina. Infine, per Chowdhury Fink è necessaria una generale rivalutazione della cooperazione globale riguardo la protezione dei cittadini e il loro ritorno in patria in sicurezza.