Con quella di ieri, le incriminazioni collezionate in meno di cinque mesi da Donald Trump salgono a tre. Dopo le accuse per il pagamento alla pornostar Stormy Daniels e le carte segrete di Mar-a-Lago, l’ex presidente Usa è stato incriminato da un gran giurì federale per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.
Secondo l’accusa, il tycoon avrebbe tentato di sovvertire il risultato elettorale delle presidenziali 2020 bloccando il “pacifico trasferimento di potere”. Se fosse condannato e se il giudizio venisse confermato anche in appello, Trump rischierebbe decenni di carcere.
Come accaduto nei casi Stormy Daniels e Mar-a-Lago, anche stavolta Trump ha anticipato le mosse della procura: “Ho sentito che il pazzo Jack Smith, per interferire nelle elezioni, emetterà un’altra falsa incriminazione nei miei confronti”, ha scritto sulla sua piattaforma social Truth a proposito del super procuratore federale nominato dal dipartimento Giustizia per fare luce sull’insurrezione a Capitol Hill.
Subito dopo la conferma della notizia, l’ex presidente in cerca di un secondo mandato ha denunciato la presunta “caccia alle streghe” nei suoi confronti. “L’illegalità delle persecuzioni del presidente Trump e dei suoi sostenitori è una reminiscenza della Germania nazista degli anni ’30 e dell’ex Unione Sovietica e di altri regimi dittatoriali e autoritari. Oggi siamo una nazione in declino. Il presidente Trump non si farà scoraggiare da questa vergognosa e senza precedenti persecuzione politica”.
L’incriminazione per l’assalto a Capitol Hill
Quattro i capi d’imputazione contenuti nelle 45 pagine dell’atto d’accusa: associazione a delinquere per frodare gli Stati Uniti, associazione a delinquere per ostacolare la certificazione del risultato elettorale, ostacolo e tentativo di ostacolare la certificazione del risultato elettorale, associazione a delinquere contro il diritto di voto dei cittadini statunitensi. Nell’atto sono indicati sei coimputati, senza tuttavia svelarne l’identità. La Cnn riporta i nomi degli ex avvocati di Trump, Rudy Giuliani, John Eastman, Sidney Powell, Kenneth Chesebro e dell’ex impiegato del Dipartimento di Giustizia Jefferey Clark.
“Ciascuno di questi complotti – si legge nell’atto di incriminazione – è stato costruito sulla base di informazioni false diffuse dall’imputato, prendendo di mira una funzione fondamentale del governo federale degli Stati Uniti: il processo di raccolta, conteggio e certificazione dei risultati delle elezioni presidenziali”.
Le altre incriminazioni di Donald Trump
Per il 2024, anno delle elezioni presidenziali, Trump ha già in calendario i processi per il pagamento all’attrice di film porno Stormy Daniels e per le carte segrete di Mar-a-Lago, illegalmente trafugate dalla Casa Bianca. Un’agenda fitta a cui si aggiungerà probabilmente il processo per l’assalto a Capitol Hill.
I pagamenti alla pornostar Stormy Daniels
Il primo caso riguarda il presunto pagamento di 130mila dollari con cui Trump nel 2016 avrebbe comprato, tramite l’ex avvocato Michael Cohen, il silenzio dell’attrice di film porno Stormy Daniels in modo che tenesse la bocca chiusa sul rapporto sessuale consumato dieci anni prima.
La procura di Manhattan accusa Trump di falsa rendicontazione delle spese elettorali perché avrebbe spacciato il pagamento come compenso per una consulenza legale. Il reato contestato è statale e non federale. La prima udienza è fissata per marzo 2024. Trump si è dichiarato “non colpevole”.
I documenti riservati nella villa di Mar-a-Lago
Il 9 giugno scorso per l’ex tycoon è arrivata la seconda incriminazione, questa volta dal tribunale di Miami, in Florida, con l’accusa di aver conservato nella propria villa di Mar-a-Lago documenti governativi riservati risalenti al periodo in cui alla Casa Bianca c’era lui.
È la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un ex presidente si trova a dover affrontare un’incriminazione per reati federali. Tra le imputazioni ci sono appropriazione indebita di carte appartenenti allo Stato, falsa testimonianza e organizzazione a delinquere per ostacolare la giustizia. Accuse a cui negli ultimi giorni si sono aggiunti tre nuovi capi. Il più pesante riguarda il tentativo di far sparire i filmati delle telecamere di sicurezza per occultare le prove dei reati di cui è accusato.
Anche in questo caso Trump si è dichiarato non colpevole. L’inizio del processo è atteso per maggio, nel bel mezzo della campagna elettorale, ma non è escluso un rinvio.
In arrivo la quarta incriminazione per Trump
E non è detto sia finita qui. Sull’ex presidente infatti incombe una quarta incriminazione che potrebbe arrivare nelle prossime settimane. Si tratta dell’accusa formulata dalla procuratrice distrettuale della Contea di Fulton, in Georgia, lo Stato dove Trump tentò ancora una volta di influenzare il risultato elettorale provando a convincere il segretario di Stato Brad Raffensperger a “trovare” gli “11mila voti” che gli mancavano per ribaltare il voto in suo favore.
Gli effetti sul voto del 2024
Difficile prevedere quale effetto avranno le incriminazioni di Trump nella sua corsa alla Casa Bianca. Di certo finora i guai giudiziari del tycoon hanno galvanizzato gli elettori conservatori, che lo considerano vittima di una persecuzione. Per ora i sondaggi sulle primarie del Partito repubblicano sembrano dargli ragione. Trump conserva un vantaggio schiacciante sul rivale Ron de Santis, governatore della Florida.
Biden, i guai giudiziari del figlio ricadono sul padre
Sul fronte democratico, sono i guai giudiziari di Hunter Biden, figlio dell’attuale inquilino della Casa Bianca, a ostacolare la corsa alle elezioni presidenziali del 2024.
La notizia del mancato patteggiamento tra il primogenito del presidente Usa e la procura federale ha rinvigorito i falchi repubblicani, che sono tornati ad attaccare il padre per lo scandalo del figlio. Gli accordi che avrebbero risparmiato la prigione a Hunter Biden sono saltati a sorpresa dopo che il 53enne ha deciso di dichiararsi non colpevole per i reati di cui è accusato (evasione fiscale e possesso illegale di armi da fuoco). Per lui dunque adesso potrebbero aprirsi le porte del carcere. Rischia una pena fino a 12 anni di detenzione.
Il cambio di rotta è avvenuto dopo che il giudice federale, nominato sotto l’amministrazione di Donald Trump, ha sollevato dubbi sull’accordo originale sostenendo fra altro che alcune condizioni avrebbero potuto garantire all’uomo l’immunità da reati futuri. Sembra che Hunter Biden volesse avere la certezza che, grazie al patteggiamento, sarebbe stato al riparo da altre indagini che potessero scavare nei suoi affari, considerati dai repubblicani poco trasparenti, in Ucraina e in Cina risalenti a oltre dieci anni fa, quando il padre era il vice presidente di Barack Obama.
Adesso i suoi avvocati hanno pochi giorni per rinegoziare un nuovo accordo con la procura e evitare il processo. Il fallimento non è un’ipotesi peregrina e un figlio dietro le sbarre, o inseguito dalle inchieste giudiziarie, sarebbe motivo di imbarazzo per il presidente democratico che punta alla riconferma alla Casa Bianca.