La Speaker della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, è partita il 29 luglio per l’Asia, ma rimane ancora il mistero se si recherà anche a Taiwan. L’isola è al centro delle tensioni tra Usa e Cina per svariati motivi geopolitici, militari ed economici. Ieri il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, John Kirby, ha dichiarato che “sulle tappe del suo viaggio parlerà l’ufficio della Speaker della Camera. Lei prende le sue decisioni. Non ha bisogno dell’approvazione della Casa Bianca”. In un colloquio telefonico di oltre due ore tra i presidenti cinese e americano Xi Jinping e Joe Biden, il leader americano ha rassicurato sul sostegno degli Stati Uniti alla politica dell’‘Unica Cina’, ma lo ha anche avvertito che non saranno tollerati colpi di mano.
Biden ha tuttavia voluto sottolineare a Xi che Washington si oppone “fermamente agli sforzi unilaterali per cambiare lo status quo o minare la pace e la stabilità attraverso lo Stretto”. Xi Jinping da parte sua ha avvertito gli Stati Uniti che “chi gioca con il fuoco si brucia”. Una metafora che la Casa Bianca si è rifiutata di confermare. “Entrambi i lati dello Stretto dell’isola appartengono ad un’unica Cina”, ha tuonato il presidente cinese. Ribadendo la “ferma opposizione al separatismo” e “all’interferenza di forze esterne”. “Non lasceremo mai spazio alle forze indipendentiste”, ha messo in chiaro il leader di Pechino.
Taiwan: un presidente della Camera Usa ci tornerebbe dopo 25 anni
Il possibile viaggio a Taiwan di Nancy Pelosi potrebbe produrre due effetti concatenati. Innanzitutto complicherebbe l’agenda geopolitica del presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, da qua al Congresso nazionale del Partito comunista, che dovrebbe confermarlo alla guida del paese. Potrebbe inoltre gettare le basi per una nuova crisi tra Washington e Pechino nello Stretto di Taiwan. Il viaggio della presidente della Camera avverrebbe a 25 anni di distanza dall’ultimo incontro tra l’allora presidente taiwanese Lee Tang-hui e l’allora presidente della Camera Usa, Newt Gingrich, nel 1997. Quello fu l’anno dopo la terza crisi dello Stretto di Taiwan.
La tensione tra Usa e Cina riguardo lo status di Taiwan parte dal fatto che Pechino considera l’isola suo territorio nazionale. Vuole annetterla per motivi strategico militari ed economici. Dall’altro lato, per gli stessi motivi, gli Usa vogliono che il territorio resti indipendente per poter mantenere l’avamposto nell’oceano Pacifico e gli equilibri commerciali e logistici globali. Taiwan è infatti un polo unico per il settore della tecnologia, manifattura, automotive, elettronica e informatica. È tra le venti economie al mondo e il suo Pil ha superato nazioni come Svizzera, Svezia e Arabia Saudita. Avere il controllo di Taiwan permette di ottenere un ruolo strategico sul Pacifico. Nonché economico riguardo i principali scambi internazionali.