Il conflitto che imperversa ormai da oltre un mese a Gaza ha riportato all’attenzione la cosiddetta questione palestinese e con essa la creazione di uno Stato palestinese. Negli ultimi trent’anni qualunque tentativo di arrivare alla soluzione “due Stati, due popoli” è fallito miseramente. Eppure questo non ha impedito a oltre due terzi dei Paesi membri delle Nazioni Unite – 139 su 193 – di riconoscere lo Stato di Palestina.
Tra loro non ci sono gli Stati Uniti e gran parte dei membri dell’Unione Europea, Italia inclusa. In seno all’Ue la Svezia è l’unico Paese che ha riconosciuto lo Stato palestinese dopo l’adesione all’Unione (2014). Gli altri otto (Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Ungheria, Malta, Polonia, Svezia, Romania e Repubblica ceca) lo hanno fatto prima di diventare membri.
Fuori dal blocco occidentale, a riconoscere lo Stato di Palestina ci sono alcuni dei Paesi più popolosi al mondo, come Cina, India e Russia. A loro si aggiungono quasi tutti gli Stati del continente africano e gran parte dell’America latina, inclusi Argentina, Brasile e Cuba. Oltre alla Lega Araba, gran parte dei membri dell’Organizzazione della conferenza islamica ha riconosciuto la Palestina.
Lo status giuridico della Palestina
Formalmente lo status legale della Palestina in seno alle Nazioni Unite è dal 2012 quello di “Stato non membro osservatore”. Come quello della Santa Sede. Questo significa che può partecipare alle riunioni dell’Assemblea dell’Onu ma non ha diritto di voto. La Palestina fa parte di altri organismi internazionali come l’Unesco, la Lega Araba e la Corte penale internazionale.
La procedura che conduce allo status di Stato membro delle Nazioni Unite è piuttosto complessa e va incontro a uno scoglio che finora si è rivelato insormontabile, ovvero il voto del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove siedono, come membri permanenti, Stati Uniti, Regno Unito e Francia che, contrariamente a Russia e Cina, si oppongono al riconoscimento dei territori palestinesi come Stato. Una strada che la Palestina ha tentato di percorrere nel 2011 presentando la richiesta di adesione all’allora segretario generale dell’Onu Ban Ki- moon, che però l’ha congelata consapevole del veto americano. La richiesta giace ancora in fondo a un cassetto.
I Paesi che riconoscono lo Stato di Israele
Nel caso di Israele, i Paesi membri delle Nazioni Unite che non lo riconoscono sono una trentina. A eccezione di Bolivia, Cuba, Corea del Nord e Venezuela, si tratta di Stati a maggioranza musulmana.
In seno alla Lega Araba in particolare sono solo sei su 24 quelli che lo riconoscono: Egitto, Giordania, Marocco, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e il Sudan.
Ankara è stata la prima a compiere il passo, con gli accordi di pace di Camp David del 1979, mediati dall’allora capo della Casa Bianca Jimmy Carter. In base al trattato siglato dal presidente egiziano Anwar Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin, Israele ha ottenuto il pieno riconoscimento e in cambio ha ceduto la penisola del Sinai occupata dal 1967 con la guerra dei sei giorni.
Il riconoscimento da parte della Giordania invece è arrivato 25 anni. Con la firma degli accordi di pace tra re Hussein e il premier israeliano Yitzhak Rabin, i due Paesi hanno avviato relazioni economiche e diplomatiche.
Gli Accordi di Abramo voluti da Trump
Un altro quarto di secolo più tardi, è stato l’ex presidente Usa Donal Trump a tenere a battesimo gli Accordi di Abramo con cui Israele ha stabilito relazioni diplomatiche con Emirati Arabi Uniti e Bahrain. A loro, pochi mesi dopo, si è aggiunto il Marocco. Anche il Sudan ha firmato gli accordi di Abramo ma ad oggi il processo di normalizzazione dei rapporti tra Karthum e Tel Aviv è rimasto incompiuto.
Gli accordi voluti dall’ex inquilino della Casa Bianca di fatto hanno segnato una rottura del fronte degli Stati arabi per anni allineanti sulla posizione che subordinava il riconoscimento dello Stato di Israele alla cessione dei territori occupati e la creazione di uno Stato palestinese sulla base dei confini precedenti al 1967. Gli accordi del 2020 hanno rovesciato il paradigma. Il processo di distensione tra Israele e i Paesi della regione ha subìto però una battuta di arresto dopo l’inizio dell’offensiva su Gaza. In particolare appare incerta la normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Arabia Saudita e Israele, che sembrava ormai a portata di mano, al momento è congelata.
In seno all’Organizzazione per la cooperazione islamica, sono dieci i Paesi non arabi a non riconoscere lo Stato di Israele: oltre all’arcinemico Iran, ci sono Afghanistan, Bangladesh, Brunei, Indonesia, Malaysia, Maldive, Mali, Niger, Pakistan.
Discorso a parte per la Turchia, che pur riconoscendo lo Stato di Israele all’inizio di novembre, complice la crisi umanitaria a Gaza, ha richiamato l’ambasciato a Tel Aviv. Epilogo del progressivo deterioramento delle relazioni tra i due Paesi, ormai ai minimi storici, con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che si è schierato apertamente con Hamas, definito come “un gruppo di liberazione che lotta per proteggere la propria terra”. Mentre il premier israeliano “non è più una persona con la quale possiamo parlare”, ha detto per spiegare la decisione. “Abbiamo messo una croce su di lui”.
Chi ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele
Quello di Ankara è solo l’ultimo strappo che si è consumato nelle ultime settimane dopo l’offensiva lanciata da Israele su Gaza. Pochi giorni prima della Turchia era stato il Bahrein a richiamare il proprio ambasciatore. La monarchia del Golfo ha anche espulso il rappresentante diplomatico israeliano e interrotto i rapporti economici con lo Stato ebraico.
A pesare di più però è stata la rottura della Giordania, unico Stato dell’area con cui Israele ha siglato un accordo di pace che regge con alti e bassi da quasi trent’anni. Il primo novembre Amman ha richiamato l’ambasciatore per “condannare la guerra israeliana che uccide degli innocenti a Gaza”. Ad aprire le danze alla fine di ottobre era stata l’America Latina, con Bolivia, Cile e Colombia. Il governo di La Paz in particolare ha annunciato lo stop alle relazioni diplomatiche.