La proroga dello stato di emergenza fino al 31 marzo 2022 è stata confermata dal Consiglio dei ministri a metà dicembre, non lasciando sorprese. I timori per la risalita della curva pandemica, collegati a quelli relativi alla diffusione di nuove varianti e all’occupazione dei reparti ospedalieri, portarono numerosi esponenti della maggioranza a definire “opportuna” la scelta della proroga. Ora che la nuova scadenza si avvicina, però, la situazione sembra cambiata.
“Stiamo lavorando allo stop dello stato di emergenza al 31 marzo“, ha infatti affermato Andrea Costa, sottosegretario alla Salute, ospite di ‘Radio Anch’io’ Su Rai Radio 1. “La pandemia ci ha insegnato che è difficile fare previsioni a lungo termine, ma i dati in questo senso sono positivi. E ci auguriamo che continuino, dobbiamo continuare con le terze dosi“, sono state le sue parole, rilanciate dall’Adnkronos.
L’Italia ha superato i due anni completi di adozione dello stato di emergenza. Un aspetto che induce inevitabilmente a una riflessione, che si condividano o no le scelte del governo. Negli altri Paesi, infatti, lo stato di emergenza è stato adottato? Se sì, come funziona e da quanto tempo dura? Ecco una panoramica utile a livello di confronto.
Pur non avendo attivato l’articolo 16 della Costituzione, che prevede l’assegnazione di pieni poteri al Presidente della Repubblica in caso di eventi emergenziali, il Parlamento ha approvato una legislazione speciale per affrontare la pandemia. Denominata ufficialmente “Legge sulla Vigilanza sanitaria” e definita una “cassetta degli attrezzi anti-Covid” dal governo transalpino, sarà attiva fino al luglio 2022.
Fra le misure più discusse ci sono l’aumento dei poteri riservato alle forze di polizia (all’interno della legge “Sicurezza globale” approvata nel contesto pandemico e una norma sul Green pass assai più restrittiva rispetto a quella di altri Paesi (Italia compresa). Sono possibili, infatti, addirittura risvolti penali per chi entra nei luoghi con obbligo di certificazione senza esserne in possesso. Una norma che gli oppositori del presidente francese Emmanuel Macron criticano con fermezza.
In Germania la situazione è più delicata. La curva pandemica si è rialzata prima di altri Paesi, il numero dei contagi è altissimo rispetto alla media europea (oltre 720mila nuovi casi di Covid-19 nelle prime due settimane di dicembre). In più, c’è anche la questione legata al rinnovamento del governo a seguito delle elezioni politiche. Che hanno segnato il passaggio, a livello di cancellierato, da Angela Merkel a Olaf Scholz.
Nel Paese teutonico lo stato di emergenza, introdotto nel marzo 2020, è terminato a fine novembre 2021. La decisione successiva è stata quela di non rinnovarlo. Stop a legislazioni speciali, dunque, ma restano le restrizioni concordate fra il governo federale e i singoli Länder. A seconda della media dei ricoveri in terapia intensiva, scattano blocchi a livello di accesso a luoghi pubblici. Le norme sono meno restringenti per chi è vaccinato o guarito dal Covid. In alcune realtà, oltre alla certificazione, è necessario comunque dimostrare la negatività al tampone nelle 24 ore precedenti.
Il primo stato d’emergenza per affrontare la pandemia di Covid-19 in Spagna è durato dal marzo al novembre 2020. Dopodiché è stato rinnovato fino al maggio 2021. Una decisione che però la Corte costituzionale del Regno ha ritenuto “illegittima” a luglio 2021. Scatenando il dibattito anche qui in Italia soprattutto fra i contestatori del lockdown.
Bisogna chiarire, però, un importante aspetto. Le costituzioni dei due Paesi sono differenti, ragion per cui un provvedimento illegittimo in Spagna non lo è, allo stesso modo, anche in Italia. Tra l’altro la Corte costituzionale spagnola ha ritenuto illegittimo il rinnovo dello stato di emergenza in sé, non propriamente il lockdown.
Tornando al Paese iberico, la discussione sulla possibile adozione di provvedimenti speciali è ripartita negli ultimi giorni. Alla luce, soprattutto della rapida risalita dei contagi (oltre 50mila casi distribuiti fra sabato 11, domenica 12 e lunedì 13 dicembre).
Più che di stato di emergenza propriamente detto, il Regno Unito ha semplicemente adottato dei provvedimenti speciali, suggeriti dal governo guidato da Boris Johnson e approvati dal Parlamento. Il Paese ha puntato tutto su riaperture e vaccinazioni negli ultimi mesi, ma la diffusione della variante Omicron ha decisamente imposto un cambio di prospettiva.
A fine 2021, infatti, Johnson ha confermato l’intenzione di adottare un ‘Piano B’ che prevede l’obbligo di Green Pass (assegnato a chi ha fatto almeno due dosi di vaccino) per entrare nei luoghi in cui si radunano grandi gruppi di persone, l’invito alle aziende a preferire il lavoro agile da casa e il ritorno all’obbligo di mascherina in tutti i luoghi al chiuso o che prevedono grandi assembramenti di persone.
Essendo il Paese con più casi e più morti in assoluto da inizio pandemia (oltre 75 milioni di contagi e circa 886 mila decessi), gli Usa non hanno mai interrotto lo stato di emergenza nazionale proclamato il 13 marzo 2020 dall’allora presidente Donald Trump. Resta comunque ampia autonomia per i singoli stati, che oltre a restrizioni particolari possono anche adottare un ulteriore stato di emergenza a livello di territorio.
È il caso, ad esempio, dello stato di New York. A causa del rapido aumento di contagi, il 27 novembre la governatrice Kathy Hochul ha proclamato lo stato di emergenza per la realtà da lei amministrata. La decisione è arrivata in vista delle festività natalizie, che con le riunioni familiari o gli spostamenti per vacanza possono fare da drammatico sfondo alla nascita di nuovi focolai.
Discorso simile a quello fatto per gli Usa vale per l’Australia. Dal marzo 2020 il Ministero della Salute nazionale ha introdotto lo stato di emergenza, rinnovandolo periodicamente. Quello in corso scadrà in data 11 febbraio e, probabilmente, vedrà un ulteriore rinnovo visti i timori per la variante Omicron. Un rinnovo consentito dal Biosecurity Act del 2015.
Ogni singolo stato, poi, decide per sé eventuali restrizioni speciali. Dalla Western Australia al New South Wales, dal Territorio della Capitale Canberra al Victoria, le autorità locali possono decidere di estendere le restrizioni nazionali, concentrate soprattutto sui controlli per chi viaggia da e per l’Isola-continente.
In Cina, Paese in cui è stato individuato (in maniera non poco controversa) il primo focolaio in assoluto di Covid-19, non vi sono decisioni politiche paragonabili allo stato di emergenza dei Paesi occidentali. Anche per l’ordinamento stesso del gigante asiatico, molto diverso dalle repubbliche o dalle monarchie parlamentari.
La situazione a livello di contagi al momento in cui scriviamo non è preoccupante (mai più di mille casi quotidiani da metà giugno) ma il governo ha recentemente invitato gli abitanti a fare scorte di beni di prima necessità. Non solo in previsione di un possibile aumento di contagi, ma anche per l’incombente freddo che potrebbe influire proprio sulla curva pandemica.
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