“Sintomi di sospetto avvelenamento“. Questa la denuncia di qualche giorno fa a proposito di Roman Abramovich, uno degli oligarchi russi più celebri in tutto il mondo. Reo, però, di aver partecipato ai negoziati di pace con l’Ucraina su richiesta diretta del presidente Volodymyr Zelensky. La verità, però, è che sospetti di tale natura sono tutt’altro che isolati. E soprattutto che la storia del rapporto tra Russia e veleno di vario tipo è lunga e consolidata.
Il caso di Abramovich è stato ampiamente coperto, con la denuncia iniziale che arrivò dal ‘Wall Street Journal’. Il quotidiano statunitense parlò di arrossamento degli occhi, lacrimazione frequente e dolorosa, desquamazione della pelle del viso e delle mani. La causa, secondo le fonti Usa, sarebbe appunto un veleno messo a punto da non precisati soggetti di Mosca. Ma quali reali responsabilità ha il Cremlino? E soprattutto, quanto e da quando la Russia ha dimestichezza con questo tipo di sostanze?
Russia, oltre cento anni di lavoro sui veleni: il laboratorio segreto di Lenin
La risposta riporta indietro le lancette del tempo di oltre cento anni. La dissoluzione dell’Unione Sovietica permise infatti di accedere a documenti che certificarono l’esistenza del Lab X. Si tratta di un laboratorio chimico segreto, la cui istituzione avvenne su iniziativa di Vladimir Lenin in persona. Qui la Russia mise a punto sostanze in grado di “mettere a tacere” i nemici della patria. Veleno in varie forme, appunto, a disposizione del temuto Kgb. Che, come universalmente noto, è l’apparato in cui la carriera di Vladimir Putin nacque e poi decollò.
I precedenti, in tal senso, non mancano. Sebbene il Cremlino abbia sistematicamente negato la somministrazione di veleno ad alcuno dei propri oppositori. Ma i casi che hanno preceduto quello di Abramovich, in tempi recenti e non, certamente non mancano. A partire da Georgi Markov, dissidente bulgaro che nel 1978 morì a Londra colpito da un proiettile di ricina. Si tratta di una proteina tossica per le cellule umane, che si sprigionò da una capsula proveniente da un ombrello in grado di sparare piccoli proiettili. Fu Oleg Kalugin, disertore proprio del Kgb, a denunciare il coinvolgimento dei servizi segreti della Russia.
Il caso universalmente più noto è però quello di Aleksej Navalny. Principale oppositore di Putin in Russia, rischiò la vita dopo aver bevuto acqua contaminata da veleno in albergo. Gli specialisti tedeschi verificarono la presenza di tracce della neurotossina Novichok, per un caso mai del tutto risolto. Come quelli delle morti del dottor Sergej Maksimishin (colui che salvò la vità proprio a Navalny), ufficialmente per infarto, o di Aleksander Perepelichnij, uomo d’affari rifugiatosi in Inghilterra e improvvisamente collassato mentre correva nei dintorni della sua abitazione. Ufficialmente “naturali” anche i decessi di Boris Berezovskij, ex insider del Cremlino, impiccatosi nella sua villa di Londra nel 2013, e del suo collaboratore Scott Young, che nel 2014 precipitò da una finestra con il corpo che finì dilaniato su un’inferriata.
Non mancano ulteriori casi di persone non gradite in Russia che sono morte in circostanze quantomeno controverse in Gran Bretagna. Alexander Litvinenko, ex spia in aperto contrasto con Putin, morì a Londra nel 2006: un’indagine pubblica del Regno Unito verificò la presenza di polonio nel suo tè. Nota anche la vicenda di Viktor Yushchenko, avversario di Yanukovych (filo-russo) alla presidenza dell’Ucraina nel 2004. Gonfiatosi improvvisamente e inspiegabilmente in viso, e copertosi di eritemi, si scoprì che il futuro leader della rivoluzione arancione aveva ingerito a sua insaputa dosi massicce di diossina.
Un aspetto comune a tutte queste vicende è il grande mistero che le circonda. E una spiegazione, in tal senso, è facile da trovare. Molte forme di veleno presentano infatti tossine che la stessa scienza fatica enormemente a rilevare. Molte altre, invece, non sono riscontrabili legalmente dopo la morte e la decomposizione dei cadaveri. Circostanze che la Russia ben conosce, da oltre cento anni. E che rendono pressoché impossibile un’accusa certa e insindacabile nei confronti del Cremlino per tutti questi casi.