Un falò enorme e agghiacciante, che in poco tempo ha ridotto in cenere un ammasso di strumenti musicali, come se questi fossero mero legname da ardere.
Siamo ad Herat, in Afghanistan, e solo poche ore prima i talebani li avevano sequestrati con una giustificazione: la musica è “immorale”.
Il falò degli strumenti musicali
A quanto pare quegli strumenti servivano principalmente a suonare durante i matrimoni, quindi in realtà parliamo di un approccio alla musica a scopo prevalentemente commerciale. Questo non toglie, tuttavia, che la musica – di qualsiasi tipo e a qualsiasi scopo – sia espressione, personale e collettiva, un’espressione che, a detta dei talebani che li hanno voluti bruciare, porta troppo pericolosamente allo sviluppo di “vizi”.
Dalle foto che stanno girando per il web, sembra che le autorità afghane al potere abbiamo deciso, per scatenare le fiamme, di prendere di mira una chitarra, un armonium, una tabla (una sorta di tamburo), altri due strumenti a corda, oltre a casse e altoparlanti. Il falò ha mandato in fumo attrezzature musicali per un valore di centinaia di dollari.
“La promozione della musica porta alla corruzione morale e il suonare la musica inganna i giovani“, ha dichiarato Aziz al-Rahman al-Muhajir, responsabile del Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio della provincia di Herat, secondo quanto riportatato dalle agenzie di stampa internazionali.
L’ennesimo messaggio in un clima di terrore
Da quando hanno preso il potere nell’agosto 2021, le autorità talebane hanno costantemente imposto leggi e regolamenti che riflettono la loro visione austera dell’Islam. Queste includono il divieto di suonare musica in pubblico, e sono il motivo dell’ultimo “spettacolare” messaggio mandato dai talebani.
Da poco hanno persino obbligato alla chiusura i parrucchieri e i saloni di bellezza in Afghanistan.
Il nuovo clima di terrore instaurato ha come bersaglio principale le donne: possono apparire in pubblico solo se si coprono il corpo e il viso. Inoltre, dai 12 anni, è vietato a ragazze e adolescenti l’accesso a scuole e università.
Poi sono arrivati i divieti di accesso a parchi, hammam – stabilimenti dove si possono fare bagni turchi a pagamento – e palestre.
Perché tutti questi divieti?
“L’amore per la poesia e le catene di sei anni di schiavitù dell’era dei Talebani, che mi avevano legato le gambe, hanno fatto sì che appoggiandomi alla penna e zoppicando, componessi passi ed entrassi nel territorio della poesia” così scriveva Nadia Anjuman, poetessa afghana di Herat in un libro pubblicato nel 2006. Chissà cosa scriverebbe oggi la scrittrice, dopo le innumerevoli norme che impongono limitazioni estreme sulla quotidianità, il lavoro e la libera espressione degli abitanti afgani, soprattutto se parliamo di donne.
Non solo, chi non rispetterà le leggi introdotte pagherà conseguenze disumane, come nel caso di “frustate, botte e violenza verbale per le donne non vestite secondo le regole Talebane o per le donne non accompagnate da un mahram” – ossia da un uomo con il quale hanno un legame di sangue, allattamento o, in altri casi, di matrimonio. Per non parlare della lapidazione pubblica per le donne accusate di avere relazioni sessuali al di fuori di esso.
Il motivo per cui l’Afghanistan sembra essere tornato indietro di secoli è terribilmente semplice: è una questione di controllo. Dato che le influenze del (a detta loro) “corrotto” mondo occidentale sono sempre più rintracciabili al giorno d’oggi, grazie al web, le autorità talebane stanno cercando in ogni modo di limitare la libertà degli abitanti. Con l’estremo terrore che questi possano in qualche modo anche solo avvicinarsi allo stile di vita dell’Ovest del mondo: una condotta ai loro occhi spregiudicata e “scandalosa” se paragonata al rispetto delle rigide regole dettate dall’Islam.