La Spagna si aggiunge alla lista dei Paesi che nel Vecchio Continente dicono addio al nucleare. Ieri il nuovo governo di Pedro Sanchez ha confermato l’intenzione di chiudere le centrali attive nel Paese entro il 2035. Un impegno messo nero su bianco, per la prima volta, nel piano per la gestione dei rifiuti radioattivi approvato ieri dal Consiglio dei ministri. L’abbandono graduale dell’atomo viaggia in parallelo allo sviluppo ulteriore delle rinnovabili. Nelle intenzioni del premier socialista la rete elettrica dovrà essere alimentata in gran parte da energie alternative. La decisione arriva dopo una campagna elettorale in cui il nucleare è stato uno dei temi caldi, con il Partito popolare, conservatore, contrario al piano di dismissione.
Centrali nucleari chiuse entro il 2035
Attualmente sono cinque gli impianti in funzione in Spagna e producono un quinto dell’elettricità. L’inizio dei lavori per la dismissione è previsto a partire dal 2027. Si comincerà con i due reattori di Almaraz, in Estremadura, per proseguire con quelli di Cofrentes (Valencia), Trillo (Guadalajara), Ascó e Vandellós (Tarragona).
Il costo per lo smantellamento e la gestione delle scorie nucleari è stimato in oltre 20 milioni di euro e sarà in parte a carico degli operatori delle centrali.
Boom delle rinnovabili in Spagna
Nell’anno che si chiude la produzione di energia elettrica da rinnovabili ha superato per la prima volta il 50% dell’intera produzione di elettricità, secondo i dati di Red Electrica de Espana. L’obiettivo del governo, indicato nel programma nazionale integrato di energia e clima inviato alla Commissione Europea è di produrre l’80% dell’elettricità con fonti rinnovabili nel 2030.
L’alleanza Ue pro-nucleare
Intanto in seno all’Unione europea si assiste a un revival dell’atomo con un riposizionamento nei confronti del nucleare, anche per centrare gli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi verso la transizione verde e il contrasto al cambiamento climatico.
Emblematica in questo senso l’“alleanza” pro nucleare, capitanata dalla Francia, che si è formata di recente. Ne fanno parte Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Finlandia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia. In una dichiarazione congiunta il gruppo sostiene che il nucleare è “uno dei tanti strumenti per raggiungere gli nostri obiettivi climatici, generare elettricità di base e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento”. Per questo invita la Commissione Ue a “sostenere pienamente la diffusione delle energie rinnovabili e dell’energia nucleare”.
In parallelo l’esecutivo comunitario ha annunciato ha “creazione di un’alleanza industriale per i piccoli reattori modulari all’inizio del prossimo anno”. Secondo la commissaria Ue per l’Energia Kadri Simson. I Smr (Small modular reactors) “possono svolgere un ruolo e aiutarci a raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi climatici del 2040”. Allo stesso tempo “per consentire questo sviluppo e avere i più alti standard di sicurezza, dobbiamo stabilire regole per i Paesi membri ma anche andare incontro alla nostra industria”.
Cop28, il rilancio dell’atomo
Del resto anche alla Cop28, la Conferenza sul clima di Dubai, è tornato al centro del dibattito il nucleare come soluzione per abbattere le emissioni di gas serra. Una ventina di Paesi – tra cui Stati Uniti, Francia, Regno Unito e gli Emirati arabi uniti, padroni di casa del summit – hanno siglato un’intesa per triplicare entro il 2050 la produzione di energia atomica (rispetto al 2020). A dare l’annuncio è stato l’inviato per il Clima della Casa Bianca John Kerry, insieme al presidente francese Emanuel Macron: “Non è possibile arrivare a zero emissioni nel 2050 senza il nucleare”.
Cauta l’Italia, che infatti non ha aderito all’intesa, nonostante in casa Lega e Forza Italia sponsorizzino l’atomo. “Su queste questioni bisogna essere pragmatici e non ideologici. Io non ho preclusioni su nessuna tecnologia che possa essere sicura e aiutarci a diversificare la nostra produzione energetica”, ha detto da la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La “vera sfida” per l’Italia, ha detto, è piuttosto la “fusione nucleare”.
Oltre 100 centrali in 13 Paesi nell’Ue
Attualmente sono 13 gli Stati membri che producono energia da oltre cento impianti nucleari, per un totale di oltre 683mila GWh l’anno, circa un quarto dell’energia prodotta nell’Ue, secondo i dati Eurostat. Capofila è la Francia, che da sola copre il 52%, seguita da Germania (9%), Spagna (9%) e Sweden (7%), Olanda, Repubblica ceca, Belgio, Finlandia, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Romania e Slovenia.
Parigi, leader europeo per il nucleare, non ha alcuna intenzione di abbandonare o limitare l’atomo. All’inzio del 2022 il capo dell’Eeliseo ha annunciato un pano da 57 miliardi di dollari per costruire sei nuovi reattori di ultima generazione a partire dal 2028. Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto al predecessore di Macron, il socialista François Hollande, che puntava a contenere il nucleare entro il 50% della produzione energetica complessiva.
In seno all’Ue i membri restano divisi sul nucleare tra chi lo approva come fonte pulita e chi antepone i rischi per la sicurezza. Nel 2025, un terzo dei reattori nucleari attualmente operativi arriverà alla fine del proprio ciclo di vita.
I contrari al nucleare
In tutta Europa il disastro di Chernobyl del 1986 ha colpito profondamente l’opinione pubblica. E l’Italia non ha fatto eccezione. Come è noto, le quattro centrali di Latina, Garigliano, Trino e Caorso sono state chiuse nel 1990 dopo il referendum del 1987. A distanza di oltre trent’anni Roma è ancora alle prese con la dismissione e la gestione delle scorie nucleari. Solo pochi giorni fa il ministero dell’Ambiente ha pubblicato la lista dei siti “idonei” ad ospitare il deposito dei rifiuti radioattivi.
Il tema resta controverso, con un parte dei partiti, perlopiù nel centrodestra, che sogna un ritorno all’atomo. Nel 2008 il governo guidato da Silvio Berlusconi aveva provato a rilanciare il nucleare senza successo. Come l’Italia, anche la Lituania ha eliminato completamente il nucleare dal proprio mix energetico chiudendo i propri reattori.
In Germania, il disastro ha rafforzato il partito dei Verdi e il movimento ambientalista. Nel 2002, il governo tedesco di centrosinistra ha approvato una legge per impedire la costruzione di nuove centrali nucleari. Nel 2011 l’incidente di Fukushima in Giappone ha sollevato nuove preoccupazioni con imponenti proteste anti-nucleare in tutto il Paese che hanno portato la cancelliera Angela Merkel ad annunciare la chiusura di tutte le centrali entro il 2022. La minaccia dell’insicurezza energetica dovuta alla guerra in Ucraina ha prolungato la loro vita oltre la scadenza. Al momento sono tre le centrali in funzione.
Tra gli altri Paesi che puntano ad abbandonare il nucleare ci sono anche il Belgio e la Svizzera. Un obiettivo che finora è stato allontano, complici le tensioni internazionali e le ripercussioni sulla sicurezza energetica.