Un gruppo di archeologi ha recentemente scoperto i resti di una grande città maya nella penisola dello Yucatán, in Messico. Questa città, precedentemente sconosciuta, è stata individuata grazie alla tecnologia LIDAR, un sistema di telerilevamento che permette di rilevare strutture nascoste dalla vegetazione densa, inviando impulsi laser che misurano la distanza tra oggetti e superfici.
Sembra che non siano state trovate tutte le città maya perdute, ecco perché
Questa tecnologia è stata utilizzata per osservare l’area dall’alto e ha consentito di rilevare muri, pavimentazioni e strutture sotterrate sotto la fitta copertura della foresta tropicale.
Secondo le stime, la città copriva una superficie paragonabile a quella di Edimburgo, capitale della Scozia, ma il fitto fogliame ne aveva finora nascosto i resti. Negli ultimi anni, il LIDAR ha rappresentato un’innovazione significativa nell’archeologia maya, permettendo di accelerare notevolmente le scoperte e di modificare molte delle nostre conoscenze precedenti.
Si pensava, infatti, che i centri urbani maya fossero isolati e separati da vaste distese disabitate, indicando una società frammentata in città-stato indipendenti. Tuttavia, le recenti ricerche con il LIDAR suggeriscono che i maya avessero sviluppato infrastrutture come strade e collegamenti tra città, segno di una società interconnessa.
La civiltà maya si sviluppò nella Mesoamerica, un’ampia area che comprende il Messico e buona parte dell’America Centrale. I primi insediamenti risalgono al 2.000 a.C., mentre il periodo di maggiore splendore fu tra il 300 e il 900 d.C. Anche dopo la conquista europea, alcune città maya continuarono a esistere, mentre molte altre erano già state abbandonate.
La foresta tropicale ha finito per avvolgere e nascondere quasi tutti i grandi insediamenti, al punto che, per esplorarli, gli archeologi erano costretti a “farsi largo nella foresta con il machete”, come ha descritto Luke Auld-Thomas, autore principale dello studio e ricercatore della Northern Arizona University.
Il team di Auld-Thomas ha recentemente pubblicato i risultati su Antiquity, rivelando di aver individuato i resti di circa 6.764 strutture, distribuite su una vasta area di 122 chilometri quadrati nello stato di Campeche.
Gli insediamenti spaziano da piccoli villaggi rurali a centri urbani di grandi dimensioni, con la scoperta principale rappresentata da una città chiamata Valeriana, così denominata per la vicina laguna omonima. Tra le strutture identificate ci sono piramidi, anfiteatri e anche una diga, indicando un’organizzazione urbana avanzata.
Le immagini LIDAR utilizzate per rilevare Valeriana non erano inizialmente destinate ad applicazioni archeologiche. Il costo elevato di questa tecnologia, che richiede l’impiego di aerei, rappresenta infatti un limite per le ricerche archeologiche, che non possono sempre permettersi queste analisi.
Le immagini impiegate da Auld-Thomas e dai suoi colleghi erano state originariamente prodotte per altri scopi, come il monitoraggio dell’estensione delle foreste tropicali in progetti di conservazione, importanti per valutare il contributo della vegetazione all’assorbimento di gas serra.
Auld-Thomas ha avuto l’intuizione di utilizzare queste mappe esistenti per analizzare un’area poco studiata, individuando così Valeriana e altri insediamenti minori. Secondo le stime, Valeriana potrebbe essere la seconda città maya più grande mai scoperta, seconda solo a Calakmul, situata anch’essa nello stato di Campeche.
Questa scoperta sottolinea quanto resti ancora da scoprire e comprendere sulla civiltà maya. Auld-Thomas e il suo team pianificano di effettuare ulteriori ricerche sul campo, che potrebbero portare alla luce nuovi dettagli sulle caratteristiche urbanistiche, l’organizzazione sociale e le connessioni tra le città maya.
Secondo Auld-Thomas, il lavoro è appena agli inizi e le ricerche future potrebbero rivelare ancora di più sulle antiche città nascoste sotto la foresta tropicale, aiutandoci a comprendere il funzionamento complesso e interconnesso della civiltà maya.