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Matteo Renzi continua a far discutere, ma stavolta la crisi di governo non c’entra. Il leader di Italia Viva è finito infatti nell’occhio del ciclone per le parole dedicate a Mohammed bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita. Durante un confronto organizzato da FII Institute, il think tank creato dal principe saudita, Renzi ha elogiato bin Salman e l’Arabia. In particolare, ha parlato di “nuovo Rinascimento” e si è detto“geloso” del costo del lavoro nel Paese mediorientale. Il video è stato registrato sabato scorso, ma è stato pubblicato solo giovedì dagli organizzatori. Le parole di Renzi hanno attirato pesanti critiche, visto il ruolo controverso del principe nello scacchiere politico internazionale.
Nato il 31 agosto 1985, Mohammed bin Salman è l’erede al trono dell’Arabia Saudita, su cui siede attualmente il re Salman bin Abdulaziz Al Saud. MBS, com’è conosciuto colloquialmente, è ministro della Difesa dal 2015 e dal 2017 è principe ereditario nonché vice primo ministro. È lui la mente di Saudi Vision 2030, una serie di riforme che hanno come obiettivo quello di ristrutturare e rendere sostenibile il sistema economico del Paese. L’obiettivo è quello di renderlo meno dipendente dalle esportazioni petrolifere.
Per far ciò, bin Salman ha aperto a una parziale ‘occidentalizzazione’ dell’Arabia Saudita. In particolare, ha limitato i poteri della polizia religiosa e ha ampliato i diritti delle donne (che dal 2018 possono prendere la patente e dal 2019 possono assistere ad eventi pubblici come quelli sportivi). Ha inoltre aperto ai turisti stranieri introducendo un visto elettronico ottenibile via internet.
Oltre a ciò, ha anche stretto accordi con gli organizzatori di grandi eventi internazionali (come la Dakar, la gara off-road più importante al mondo) e con la stessa Lega Serie A di calcio, che ha organizzato due edizioni della Supercoppa Italiana in terra saudita. La prima si è giocata a Jeddah nel gennaio 2019, la seconda a Riad nel dicembre dello stesso anno.
Dietro la facciata di Saudi Vision 2030 c’è però una serie di prese di posizioni a dir poco controverse. Dentro e fuori il territorio saudita. Nonostante le riforme, bin Salman è noto per le posizioni dure nei confronti degli oppositori, tanto che le associazioni a difesa dei diritti umani ne hanno fatto spesso bersaglio di critiche.
In particolare, il principe saudita è accusato di avere un ruolo determinante nell’assassinio di Jamal Kashoggi, giornalista noto per le sue posizioni contrarie a quello del principe ereditario. Kashoggi è morto ad Istanbul, in circostanze poco chiare, nell’ottobre 2018. Bin Salman è anche accusato inoltre di essere il mandante delle minacce nei confronti di Saad Al-Jabri, ex consigliere del Regno che dal 2017 è in esilio in Canada.
Proprio con il Canada, il Paese Saudita ha interrotto ogni tipo di relazione diplomatica nel 2018. Una decisione presa a seguito delle critiche espresse dalla ministra degli Esteri Chrystia Freeland sugli arresti degli attivisti Samar e Raif Badawi. Da oltre due anni l’ambasciatore canadese in Arabia Saudita è persona non grata.
Oltre alle controversie già citate, fanno discutere ormai da anni gli interventi sauditi in Siria e in Yemen. Interventi militari che hanno causato forte indignazione in tutto il mondo per la loro efferatezza nei confronti dei civili. Allo stesso modo sono stati bersaglio di critiche anche i rapporti diplomatici con l’ex presidente Usa Donald Trump. La comunità internazionale ha criticato, in tal senso, la fornitura di armamenti ai sauditi da parte degli stessi americani.
L’Arabia ha anche avuto un ruolo primario nella crisi diplomatica con il Qatar e in quella interna al Libano (il cui l’allora primo ministro Saad Hariri fu invitato a dimettersi nel 2016 proprio da bin Salman). Le ultime controversie riguardanti MBS, in ordine di tempo, riguardano la difesa in contesti pubblici dei campi di ‘rieducazione’ del governo cinese e la scoperta, nelle indagini riguardanti l’assassinio di Jamal Kashoggi, di elementi che confermerebbero l’hackeraggio del telefono di Jeff Bezos pochi mesi prima dell’assassinio del giornalista saudita che collaborava proprio con il Washington Post. Giornale di cui Bezos è proprietario.
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