Anche l’esercito e lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, scendono in campo in Israele per coadiuvare la polizia nella ricerca dei sei prigionieri palestinesi protagonisti di un’evasione da film questa notte dal carcere di massima sicurezza di Gilboa. Secondo quanto ricostruito, infatti, i sei detenuti sono passati attraverso un buco scavato nella strada sterrata e largo quanto le spalle di un uomo.
L’allerta nel Paese è massima e, ha annunciato il portavoce militare, le truppe sono già schierate in Cisgiordania. Da lì, nello specifico dall’area di Jenin, provengono infatti tutti e sei i fuggitivi, perlopiù membri della Jihad islamica, secondo il servizio carcerario israeliano. La cittadina palestinese dista circa 13 chilometri dal penitenziario di Gilboa.
Il ricercato numero uno è Zakaria Zubeidi, 45 anni, capo delle Brigate dei Martiri di al Aqsa a Jenin durante la Seconda Intifada. Ex membro del Fatah, organizzazione politica paramilitare che fa capo al presidente palestinese Abu Mazen, è ritenuto responsabile di numerosi atti terroristici in Israele. Tra cui l’attentato a una sede del Likud nel 2002 che aveva portato alla morte di sei israeliani e un’esplosione in centro a Tel Aviv.
Zubeidi ha sempre sostenuto che la sua militanza armata è iniziata dopo la morte della madre e della sorella, entrambe uccise a Jenin da soldati israeliani nei primi giorni della rivolta. Stando al suo racconto, si sarebbe trattato di una rappresaglia in risposta ad alcuni attacchi kamikaze avvenuti in precedenza. Molti degli attentatori provenivano proprio da Jenin.
Nel 2007, a seguito di un accordo fra lo Shin Bet e le autorità palestinesi, Zubeidi aveva infine deposto le armi in cambio dell’amnistia. Una decina di anni più tardi, però, il servizio di sicurezza nazionale ha ri-arrestato il 45enne, reo di aver ripreso l’attività terroristica. Lo Shin Bet ha poi reso noto che Zubeidi avrebbe confessato due attacchi avvenuti nel novembre 2018 e gennaio 2019. Il processo contro l’ex comandante delle Brigate dei Martiri è attualmente in corso.
Gli altri cinque evasi sono invece appartenenti alla Jihad. Il primo è Eham Kamamji, 35 anni, di Kufr Dan, che assieme a due complici nel 2006 a Itamar ha sequestrato e ucciso con un colpo alla testa un 18enne, Eliyahu Asheri. In aula Kamamji ha confessato i suoi crimini, dicendosi “orgoglioso” dell’omicidio del giovane israeliano.
Ci sono poi i fratelli Mahmoud e Mohammad Al-Arida, di 46 e 39 anni, provenienti da Arraba, vicino Jenin. Entrambi stavano scontando l’ergastolo ed erano finiti in manette sia nel 1996 sia nel 2002 per atti di terrorismo. E ancora il 49enne Yaqoub Qadiri, in cella per aver pianificato degli attentati in Israele e per aver fatto parte di un gruppo terroristico.
L’ultimo è Munadil Nafayat, 26enne di Yaabad, unico in carcere in via preventiva. Nel suo caso, infatti, le autorità israeliane non hanno ancora formalizzato alcuna accusa, ma risulta sospettato. Nafayat è in prigione dal 2019, ma era già stato trattenuto per quattro mesi nel 2015. Molte organizzazioni umanitarie hanno criticato Israele per l’applicazione della carcerazione preventiva nei confronti dei palestinesi sospettati di terrorismo.
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