L’offensiva sferrata da Hamas lo scorso 7 ottobre contro Israele affonda le proprie radici nel passato. Per comprendere il conflitto che da oltre 70 anni contrappone, senza soluzione di continuità, lo Stato ebraico e una fetta consistente del mondo arabo è necessario percorrere a ritroso la storia, mettendo a fuoco gli eventi, le date e le figure chiave.
La Striscia di Gaza
La Striscia di Gaza è una regione costiera di 365 chilometri quadrati, abitata da oltre 2 milioni di persone, di cui oltre 1 milione e 400mila con lo status di rifugiati. La densità abitativa è tra le più alte al mondo.
È uno dei territori, insieme alla Cisgiordania, sotto il controllo degli arabi palestinesi. Dal 1967 fino al 2005, la zona è stata occupata militarmente da Israele. Nel 2005 il governo guidato da Ariel Sharon ha disposto l’evacuazione dei coloni ebrei dagli insediamenti della Striscia. Dal 2007 Gaza è sotto il controllo del movimento islamico Hamas. Da allora Israele ha imposto un blocco con la chiusura quasi totale dei valichi di frontiera e degli accessi via mare e aerea, la sorveglianza delle persone in entrata e in uscita dalla Striscia e l’embargo nei cieli. Oggi oltre l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari, mentre il tasso di disoccupazione sfiora il 50%.
La Cisgiordania
È un territorio abitato dai palestinesi occupato da Israele dal 1967. Mantiene un’autonomia politico-amministrativa in base agli accordi di pace di Oslo del 1993. Da allora, la Cisgiordania è in parte governata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp),
Hamas
Hamas (“Movimento di resistenza islamica”) viene fondato nel 1987 durante la prima Intifada (rivolta) palestinese. È sostenuto dall’Iran sciita e condivide l’ideologia islamista dei Fratelli Musulmani. Controlla la Striscia di Gaza dal 2007. Da 16 anni il leader politico è Ismail Haniyeh.
Il capo militare è Mohammad Deif, dal 2002 comandante delle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas. È la mente dietro l’operazione militare del 7 ottobre contro Israele. La sua figura è avvolta nel mistero tanto che viene definito il “fantasma” di Gaza. Da anni nemico numero uno di Israele, è sfuggito a diversi tentativi di eliminarlo.
Hamas rifiuta di riconoscere lo Stato di Israele e si oppone agli accordi di pace di Oslo. Sin dal 1994 è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche di Israele e degli Stati Uniti. È considerata un’organizzazione terroristica anche dall’Unione Europea. Fa parte di un‘alleanza regionale che comprende Iran e Hezbollah in Libano. Anche se la sua base è a Gaza, i suoi leader sono sparsi in tutto il Medio Oriente, compreso il Qatar.
Dopo il ritiro di Israele dalla Striscia, le storiche elezioni politiche del 2006 segnano un punto di svolta. Fatah, il partito guidato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, subisce una cocente sconfitta mentre Hamas ottiene la maggioranza, grazie soprattutto a un welfare sociale parallelo che per anni garantisce servizi di base alla popolazione attraverso una rete di assistenza socio-religiosa: cure mediche, istruzione, aiuti alimentari. Nel 2007 la prima guerra civile palestinese tra Hamas e Fatah porta alla spaccatura dei Territori occupati palestinesi. Da una parte la Cisgiordania, dove comanda l’Anp guidata dal presidente Abu Mazen, dall’altra Gaza controllata da Hamas.
L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp)
L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) nasce nel 1964 per iniziativa della Lega araba, come espressione politico-militare della resistenza palestinese. Assume rilevanza internazionale dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967. Passata sotto la direzione di al-Fatah, dal 1969 sotto la guida di Yasser Arafat, l’Olp acquista nel corso degli anni ‘70 il ruolo di rappresentante politico della nazione palestinese anche in sede internazionale. Un ruolo accentuatosi dopo l’avvio dei negoziati arabo-israeliani nel 1991 e il riconoscimento reciproco tra Olp e Israele nel 1993 con gli accordi di Oslo.
Nella seconda metà degli anni ‘90, con l’istituzione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), l’Olp perde il ruolo di rappresentante politico. Nel 2004, con la morte di Arafat, Abu Mazen assume la carica di presidente.
L’Autorità nazionale palestinese (Anp)
L’Autorità nazionale palestinese (Anp) è un’istituzione politica nata nel 1993 in seguito agli accordi di pace di Oslo tra l’Olp e Israele. In base all’intesa, lo Stato ebraico conferisce all’Anp il mandato di governo su parte dei territori occupati da Israele dopo la guerra del 1967 (Striscia di Gaza e parte della Cisgiordania, in particolare le città di Gerico, Hebron, Nablus e Betlemme). La giurisdizione dell’Autorità comprende il governo e l’attività di polizia. Israele gode del diritto di intervenire nei territori amministrati dall’Anp per ragioni di sicurezza.
Le elezioni legislative del 2006 portano alla vittoria di Ḥamas, che ribadisce il rifiuto di riconoscere lo Stato di Israele. Nel novembre 2012, con 138 voti favorevoli (tra cui quello dell’Italia), 9 contrari e 41 astenuti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite riconosce l’Anp come Stato osservatore non membro dell’Onu. Uno status che le conferisce legittimità internazionale e le permette di presentare richiesta di adesione in qualità di Stato membro e di fare ricorso alla Corte penale internazionale.
Al-Fatah
Al-Fatah, movimento di liberazione palestinese, è il partito fondato nel 1958 da esuli palestinesi, tra cui Yasser Arafat. Dopo la guerra del 1967 assume l’egemonia all’interno dell’Olp. È la maggior organizzazione palestinese fino al 2006, quando viene sconfitta alle elezioni legislative da Hamas, con cui nel 2007 si scontra militarmente. Le accuse di corruzione che coinvolgono l’Olp, e dunque Al-Fatah, sono tra le principali cause che portano all’indebolimento del partito e all’affermazione di Hamas.
Abu Mazen
Abu Mazen (all’anagrafe Mahmud Abbas) è tra i fondatori di al-Fatha e presidente dell’Anp dal 2005, quando viene eletto alla morte di Yasser Arafat, leader storico dell’Olp. Da anni la sua leadership politica e il suo carisma sono messi in discussione, con appelli affinché si dimetta per consentire l’elezione di nuovi vertici.
La guerra dei sei giorni (1967)
Il conflitto del 1967 tra Israele e una coalizione di Paesi arabi (Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania) è meglio noto come guerra dei sei giorni. Gli Stati aggressori subiscono una pesante sconfitta mentre l’esercito israeliano occupa rapidamente ampi territori: la Cisgiordania e Gerusalemme est della Giordania, le alture del Golan siriane, la Striscia di Gaza e il Sinai egiziani. Con la fine della guerra nasce la prima Intifada (rivolta) palestinese.
La guerra dello Yom Kippur (1973)
L’offensiva sferrata da Hamas lo scorso 7 ottobre, è avvenuta a 50 anni esatti dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, quando Egitto e Siria, approfittando della festività ebraica del Kippur (il “giorno dell’espiazione”) attaccano Israele cogliendolo di sorpresa. I primi da sud e i secondi da nord irrompono nel Paese gettandolo nel caos.
Dopo venti giorni di ostilità, l’Onu impone il cessate il fuoco a seguito di un lungo negoziato tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Le stime dei morti sono incerte e oscillano fra i 10mila e i 20mila soldati. La Guerra ha ripercussioni notevoli anche in Occidente, con il prezzo del petrolio quadruplicato, la crisi energetica e la conseguente “austerity” imposta dai governi, incluso quello italiano.
La moschea di Al-Aqsa
La moschea di Al-Aqsa si trova nel cuore della Città Vecchia di Gerusalemme, su una collina nota ai musulmani come al-Haram al-Sharif, o Spianata delle Moschee, e agli ebrei come Har ha-Bayit, o Monte del Tempio.
È considerata uno dei luoghi di culto più importanti per l’Islam, il terzo più sacro dopo La Mecca e Medina. Al-Aqsa è il nome dato all’intero complesso e ospita, oltre alla moschea di Al-Aqsa, anche la Cupola della Roccia, costruita nell’VIII secolo d.c. nel luogo dove secondo i musulmani il profeta Maometto è salito in cielo.
Ma il luogo è considerato sacro anche per la religione ebraica. Si affaccia sul muro occidentale (Kotel), o Muro del Pianto, il luogo di preghiera più importante per gli ebrei: è lì che il re biblico Salomone avrebbe costruito il primo tempio 3mila anni fa, poi distrutto dai babilonesi, ricostruito e raso al suolo dai romani nel 70 d.c. Il sito, luogo di predicazione di Gesù, è considerato sacro anche dai cristiani.
Secondo quello che è noto come lo “status quo”, stabilito dagli accordi internazionali, i non musulmani hanno la possibilità di visitare il sito, ma non di pregare o di celebrare rituali religiosi. L’amministrazione del luogo è affidata al Fondo religioso islamico (Waqf) controllato dalla Giordania mentre alla polizia israeliana è affidato il compito di far rispettare il divieto. Negli ultimi anni un numero crescente di ebrei, in prevalenza tra i gruppi religiosi nazionalisti di ultra destra, rivendicano un superamento dello status quo e periodicamente vìolano le regole pregando all’interno del sito. Senza contare le “provocazioni”, incluse quelle dei membri del governo.
La prima e la seconda Intifada
L’Intifada (letteralmente “scuotimento”) indica la rivolta popolare nata nel dicembre del 1987 nei territori palestinesi occupati da Israele. Dilaga da Gaza alla Cisgiordania tra scioperi, dimostrazioni, scontri con le forze di sicurezza israeliane, azioni di disobbedienza civile.
Nel settembre del 2000 scoppia la seconda intifada dopo la clamorosa “passeggiata” dell’allora leader dell’opposizione Ariel Sharon sulla Spianata delle Mosche, dove sorge Al-Aqsa, scortato da mille agenti di polizia.
Hezbollah
È il “partito di dio” libanese, sciita e filo iraniano, guidato da Hassan Nasrallah dal 1992. Viene fondato in Libano, come organizzazione para paramilitare, nel 1982 nel pieno della guerra civile libanese tra fazioni cristiano-maronite e musulmane, che vede anche l’intervento militare di Israele. Condivide con Teheran l’odio nei confronti del “nemico sionista”, di cui vuole la distruzione. Ha deputati in Parlamento e ministri al governo in Libano.
Gli accordi di pace di Oslo (1993)
Gli accordi di pace di Oslo compiono trent’anni. La stretta di mano tra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat, sul prato della Casa Bianca il 13 settembre del 1993, è il simbolo dell’intesa raggiunta dopo mesi di negoziati segreti condotti nella capitale norvegese tra Olp e lo Stato ebraico. Un accordo che alimenta molte speranze di pace ma che rimane per lo più sulla carta, inclusa la cosiddetta “soluzione dei due Stati”.
Gli accordi di pace di Abramo (2020)
Nel 2020 è l’ex presidente Usa Donald Trump a rilanciare i negoziati con gli accordi di Abramo. Tre Paesi arabi – Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco – firmano la pace con Israele. Dopo l’offensiva lanciata da Hamas, l’allargamento dell’intensa all’Arabia Saudita, con la normalizzazione delle relazioni tra Ryad e Tel Aviv, sembra naufragata.
Il Sionismo
Per comprendere il presente è necessario capire l’origine del conflitto israelo-palestinese riavvolgendo il nastro della storia alla fine del 1800, quando il giornalista ungherese-austriaco Theodor Herzl fonda un movimento politico che rivendicava il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, ipotizzando la Palestina e l’Argentina come possibili destinazioni per l’insediamento dei coloni. È il Sionismo. La migrazione di ebrei europei comincia già alla fine del secolo ma è a partire dalla fine della prima guerra mondiale che l’esodo diventa consistente.