Dopo il rientro in Ucraina lo scorso luglio, i soldati del battaglione Azov sono tornati al fronte e, secondo quanto riferito dalla Guardia nazionale, sarebbero già in missione nella regione di Lugansk, attorno alla zona della foresta di Serebryanske.
Difficile al momento stabilire se il ritorno in prima linea del battaglione influirà in qualche modo sulle sorti della guerra. Di certo i soldati in passato si sono distinti per la tenacia mostrata sul campo, tanto da diventare un simbolo della resistenza ucraina all’invasione di Mosca. Emblematica in questo senso la difesa strenua dell’acciaieria Azovstal di Mariupol, assediata dai russi per 80 giorni nella primavera del 2022,
È prevedibile invece che il ritorno in scena dei militari di Azov non farà che rinfocolare la macchina della propaganda russa che ha sfruttato le origini del battaglione nella destra ultra nazionalista ucraina per legittimare l'”operazione militare speciale” come un intervento di “de-nazificazione”, ovvero di liberazione del Paese dal “nazismo”.
Del resto agli inizi di luglio già aveva fatto discutere il rientro a Kiev dei comandanti, accolti come eroi nazionali, dopo la prigionia in Russia e 300 giorni trascorsi in Turchia, in base agli accordi sullo scambio di prigionieri negoziato con Mosca. In quell’occasione il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov aveva denunciato la violazione dell’intesa “sia dalla parte turca che da Kiev”. In base all’accordo infatti i soldati sarebbero dovuti rimare a Istanbul fino al termine del conflitto.
Il battaglione Azov e le accuse di “nazismo”
Le accuse al gruppo paramilitare prendono le mosse da un dato di realtà, ovvero la sua fondazione a partire da gruppi provenienti dall’eterogenea galassia dell’estrema destra ucraina. Azov infatti nasce nel maggio del 2014 per iniziativa di Andriy Biletsky, leader della destra ultranazionalista ucraina, dalla fusione di due gruppi paramilitari, i Patrioti dell’Ucraina e l’Assemblea Social-Nazionale (già affiliati agli ultrà della squadra di calcio Metalist Kharkiv).
Per i detrattori sono almeno due gli indizi che provano la colpevolezza del battaglione. Oltre al fondatore Biletsky, a incriminarlo c’è il simbolo di Azov che, sostengono, ricorda il “Wolfsangel”, originariamente l’emblema del partito nazista prima che fosse sostituito dalla svastica.
D’altra parte non possono essere taciute le accuse mosse in passato al battaglione Azov e alle altre unità della Guardia nazionale ucraina dall’Onu e dalle organizzazioni che difendono i diritti umani. L’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni unite in particolare ha denunciato crimini di guerra commessi nel 2014 durante il conflitto nel Donbass, nell’Est dell’Ucraina, inclusi saccheggi, detenzioni e uccisioni extra giudiziali, torture e bombardamenti ingiustificati di aree densamente abitate.
La difesa dei “nuovi” soldati del battaglione Azov
Nel novembre del 2014 il battaglione ha ottenuto il riconoscimento di corpo ufficiale della Guardia nazionale ucraina. Oggi i militari di Azov sono considerati uno dei pilastri delle forze armate di Kiev e imprese come la resistenza stoica nell’acciaieria di Mariupol sono valsi loro il rispetto e la gratitudine di ampie fette della popolazione, che li celebra come eroi nazionali.
I membri di Azov respingono le accuse di simpatie “neonaziste”. “Le cose sono cambiate, siamo diventati un gruppo combattente contro l’invasione russa. Il vecchio antisemitismo è scomparso, oggi tra noi militano tanti ebrei, non c’è razzismo, siamo lo specchio della nostra società. Anche il mito di Stepan Bandera, il leader della destra radicale ucraina ai tempi dell’occupazione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, si è fatto via via sempre più debole: tanti nostri soldati non sanno neppure chi sia”, ha spiegato al Corriere della Sera un soldato entrato nelle file del battaglione agli inizi del 2021.
“I nuovi soldati sono stati addestrati dai reduci della battaglia nelle acciaierie Azovstal dell’anno scorso. Gente dura, motivata, abituata alle nuove tecnologie della guerra, agile con i droni e nelle sfide informatiche”, ha detto ancora il 47enne ex docente universitario
Quanto alle tesi sul simbolo, i membri di Azov hanno sempre negato legami con l’emblema del partito nazista sostenendo si tratti della stilizzazione dell’acronimo “IN” (Idea Nazionale).
E a proposito delle accuse di simpatie “neonaziste” – provenienti non solo da Mosca ma anche da una parte degli intellettuali europei, Italia inclusa – nel 2015 Andriy Diachenko, portavoce del battaglione, ha affermato che in seguito all’accorpamento nella Guardia nazionale ucraina nel 2014, solo una minoranza dei propri membri (tra il 10 e il 20%) si identificava come estremista di destra.