Una strategia di “controspionaggio vecchio stile” avrebbe messo in scacco una delle intelligence più sofisticate del Pianeta. Negli ultimi due anni una piccola cellula di Hamas avrebbe usato una rete di telefoni cablati all’interno dei tunnel scavati sotto la Striscia di Gaza per pianificare l’assalto contro Israele dello scorso 7 ottobre senza essere intercettati dagli 007 di Tel Aviv. Lo sostiene la Cnn, che cita fonti dei servizi Usa. Per due anni dunque il movimento palestinese che controlla l’enclave dal 2007 avrebbe evitato scientemente le comunicazioni digitali attraverso cellulari e computer, in favore di telefoni fissi e incontri personali.
Nuovi elementi che, come nota l’emittente americana, spiegherebbero l’impreparazione tanto di Israele quanto degli Stati Uniti, colti completamente di sorpresa dall’attacco sferrato da Hamas, con l’incursione di almeno 1.500 uomini oltre il confine e l’uccisione brutale di oltre 1.400 civili.
Negli ultimi 15 anni Hamas ha costruito una vera e propria città sotterranea, che l’esercito israeliano definisce la “metro di Gaza”, un dedalo di tunnel lungo centinaia di chilometri e profondo fino a 80 metri, dove vengono immagazzinati razzi e depositi di munizioni e attraverso i quali i militanti possono spostarsi inosservati.
Hamas, miliziani addestrati in Iran prima dell’attacco
Altri dettagli della fase preparatoria arrivano dal Wall Street Journal, secondo cui nelle settimane che hanno preceduto l’attacco, circa 500 miliziani di Hamas e Jihad islamica avrebbero “ricevuto un addestramento specializzato al combattimento in Iran“. Secondo le fonti d’intelligence citate dal quotidiano Usa, le esercitazioni tenute a settembre sono avvenute sotto la guida di ufficiali della Forza Quds, il braccio per le operazioni estere dei Guardiani della rivoluzione iraniani, incluso il capo, il generale Esmail Qaani.
Gaza, crisi umanitaria
Intanto proseguono incessanti raid israeliani sulla Striscia e continua a crescere il bilancio delle vittime. Secondo il ministero della Salute di Gaza, sarebbero oltre 6.500 le persone uccise, inclusi 2.700 bambini. I feriti avrebbero superato quota 17mila. Numeri che non è possibile verificare in modo indipendente.
Per quanto riguarda le vittime tra i minori, l’Unicef ha fornito cifre inferiori ma comunque allarmati. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, sono 2.360 i bambini uccisi, 5.364 quelli feriti, negli ultimi 18 giorni. E chi sopravvive, denuncia l’organizzazione, è esposto a raid incessanti, sfollamento, malnutrizione e traumi profondi.
Intanto un nuovo convoglio di aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza, 20 camion in tutto, è passato nelle prime ore di oggi attraverso il valico di Rafah. Si tratta del quarto convoglio entrato finora nell’enclave e include farmaci, latte in polvere e acqua ma non carburante per l’opposizione di Israele.
Oms: “Ospedali chiusi per mancanza di carburante”
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, proprio la mancanza di carburante, indispensabile per alimentare i generatori, ha costretto sei ospedali a chiudere i battenti. “Se non verranno consegnati con urgenza a Gaza carburante vitale e forniture sanitarie aggiuntive, migliaia di pazienti vulnerabili rischieranno la morte o complicazioni mediche poiché i servizi critici verranno chiusi per mancanza di energia”, è l’appello dell’Oms. Tra i vulnerabili ci sono un migliaio di persone in dialisi e almeno 130 bambini prematuri in incubatrice, oltre alle persone in terapia intensiva o che necessitano di un intervento chirurgico urgente. Tutti “dipendono da una fornitura stabile e ininterrotta di elettricità per sopravvivere“.
Senza contare le strutture sanitarie messe fuori uso dai raid aerei. L’Oms ha contato dal 7 ottobre centinaia di attacchi tra Gaza e Cisgiordania contro ospedali, ambulanze e personale medico.
Neanche le scuole dove trovano riparo i civili sono immuni ai bombardamenti. Secondo l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, una scuola a Rafah, nel sud della Striscia, che ospitava 4.600 sfollati ha è stata “gravemente danneggiata” da un raid. Un persone è morta e 44 sono rimaste ferite, inclusi nove bambini.
Dall’inizio del conflitto, almeno 41 strutture gestite dall’organizzazione sono state colpite. Gli sfollati sono oltre un milione. Di queste oltre 600mila sono state accolte dall’Unrwa, un numero quattro volte superiore alle capacità dell’agenzia.
Incidente diplomatico all’Onu: “Guterres si dimetta”
Intanto il giorno dopo l’intervento del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres al Consiglio di sicurezza, al Palazzo di vetro si è aperto un incidente diplomatico con l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan a chiederne le dimissioni. A far infuriare Tel Aviv, il passaggio in cui il numero uno delle Nazioni Unite sostiene che l’attacco di Hamas “non è avvenuto nel vuoto” perché “il popolo palestinese ha subìto una soffocante occupazione per 56 anni”, per poi aggiungere che “il risentimento dei palestinesi non può giustificare l’orribile attacco di Hamas” come “l’orribile attacco di Hamas non può giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. Il segretario è quindi tornato a invocare un “immediato cessate il fuoco”.
Guterres “ancora una volta distorce e stravolge la realtà”, ha denunciato l’ambasciatore israeliano. Mostra “comprensione e giustificazione per il massacro. Un segretario che non capisce che l’assassinio di innocenti non può avere alcuna giustificazione, e nessun ‘contesto’, non può essere segretario generale“.
Guterres dal canto suo ha respinto le accuse al mittente: “Sono sconcertato da come le mie affermazioni di ieri sono state interpretate da alcuni, come se io stessi giustificando il terrore di Hamas. Questo è falso. Era l’opposto”, ha scandito. “Il dolore del popolo palestinese non può giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas“, ha ribadito aggiungendo che le Nazioni Unite “non sono una parte nel conflitto ma cercano di facilitare una soluzione di pace”.
Stampa sotto attacco: 27 giornalisti uccisi
Anche il bilancio delle vittime tra i giornalisti e gli operatori dell’informazione è eccezionalmente alto. Secondo il Cpj (Committee to Protect Journalists), dal 7 ottobre sono 27 i reporter uccisi. Tra loro 22 palestinesi, 4 israeliani e un libanese.A loro si aggiungono i cronisti feriti (otto) e quelli dispersi o detenuti (nove).
Anche le famiglie di chi è sul campo per documentare il conflitto sono esposte al pericolo. È il caso del corrispondente da Gaza di al Jazeera Wael Dahdouh, che ha perso la moglie e due figli, colpiti da un raid nel sud della Striscia, dove si erano spostati seguendo l’ordine di evacuazione dal nord diramato da Israele.
“I giornalisti sono civili che fanno un importante lavoro in tempo di crisi e non devono essere un target delle parti in conflitto”, ha ribadito Sherif Mansour, coordinatore del programma Medio Oriente e Nord Africa del Cpj. “I reporter nella regione stanno facendo grandi sacrifici per raccontare questa straziante guerra. Quelli Gaza in particolare hanno pagato, e continuano a pagare, un prezzo senza precedenti e sono esposti a enormi rischi.“