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MONDO

Guerra del Tigray, cosa sta succedendo in Etiopia

L’escalation di violenza ha spinto l’Etiopia a dichiarare lo stato di emergenza nazionale.
La mossa arriva dopo che i combattenti del Tigray hanno dichiarato di aver catturato due città strategiche nella regione di Amhara e di aver preso in considerazione l’idea di marciare su Addis Abeba.

Il governo etiope ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale di 6 mesi con effetto immediato. Nel frattempo le autorità di Addis Abeba hanno detto ai cittadini di prepararsi a difendere la capitale, poiché i combattenti della regione settentrionale del Tigray hanno minacciato di marciare verso la città.

Lo stato di emergenza consente, tra l’altro, di istituire posti di blocco, di interrompere i servizi di trasporto e di imporre il coprifuoco. Chiunque sia sospettato di avere legami con gruppi “terroristi” potrebbe essere detenuto. Inoltre, qualsiasi cittadino che abbia raggiunto l’età del servizio militare potrebbe essere chiamato a combattere.

Un anno di guerra in Etiopia

Nel silenzio mediatico internazionale, in Etiopia, la guerra tra le truppe di Addis Abeba e le forze del Tigray è proseguita in maniera drammatica per dodici mesi.  Tutt’oggi, quotidianamente, si sta registrando una recrudescenza della violenza nei confronti della popolazione civile.

La guerra in Etiopia ha avuto inizio il 4 novembre 2020, quando le truppe di Addis Abeba, con l’appoggio delle forze eritree e delle milizie amhara, hanno attaccato la regione del Tigray. Qui si erano tenute delle elezioni non autorizzate dal governo centrale che avevano visto stravincere il Fronte per la liberazione del Tigray.
Al fine di sconfiggere e eliminare il gruppo politico e militare tigrino, il governo del premio Nobel per la Pace 2019 Abiy Ahmed, di etnia oromo, ha iniziato un’offensiva che doveva concludersi nel giro di breve tempo. Dopo un successo iniziale che ha visto le forze regolari prendere il controllo della capitale degli insorti, però, il conflitto ha preso tutt’altra piega.

I ribelli tigrini, alleatisi con il gruppo etnico degli Oromo, sono passati alla controffensiva e il conflitto ora si è esteso in altre regioni del Paese in particolare nell’Afar e nell’Ahmara. Un conflitto che adesso rischia di infettare tutta la nazione anche perché i combattimenti sono sempre più prossimi alla capitale Addis Abeba.
Si sta assistendo quindi alla balcanizzazione di uno degli stati più importanti a livello politico e strategico dell’Africa. Il conflitto rischia di infettare tutto il Corno e di far riemergere quei conflitti interetnici che per anni sono rimasti silenti.

Onu: allarme sulla situazione umanitaria

Gran parte dell’Etiopia settentrionale è soggetta a un blackout delle comunicazioni e l’accesso per i giornalisti è limitato, rendendo difficile la verifica indipendente delle affermazioni sul campo di battaglia. Secondo le Nazioni Unite, il conflitto ha innescato una crisi umanitaria che ha lasciato centinaia di migliaia di persone in condizioni di carestia.

Migliaia di persone sono state uccise e più di 2,5 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case.
Un’indagine delle Nazioni Unite ha scoperto che tutte le parti hanno commesso gravi abusi che possono equivalere a crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

A settembre gli Stati Uniti, avevano minacciato il governo di Abiy di imporre delle sanzioni se non fosse stato avviato un processo di pace con i ribelli. Martedì il governo USA ha dichiarato che revocherà i privilegi commerciali all’Etiopia a causa di “gravi violazioni dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale“. La mossa ha inferto un nuovo colpo all’economia etiope. Già sotto pressione a causa del crescente costo della guerra e dell’impatto della pandemia di COVID-19.

 

Giulia Martensini

Classe '89, sono laureata in Giornalismo e Cultura Editoriale e mi occupo da diversi anni di redazione di contenuti per l'online e articoli in ottica SEO. Nata a Brescia, ho vissuto a Parma e Milano con una parentesi di 10 mesi a Salamanca. Lettrice accanita ed ex attivista di Greenpeace Italia, scrivo soprattutto di attualità, sostenibilità e cultura.

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